Conobbi Michele Ranchetti all’inizio del 2004, quando, ventottenne e fresco di dottorato di ricerca in Storia delle religioni, venni arruolato come traduttore di Freud nell’ultimo, ampio progetto editoriale concepito da Michele. In una delle periodiche riunioni domenicali a Firenze, in casa Ranchetti, nella primavera del 2005, arrivai da Torino molto presto, prima degli altri amici e collaboratori, e trovai Michele al telefono, indignato, furibondo, con alcuni quotidiani squadernati sulla scrivania. L’oggetto dell’animata discussione con quell’interlocutore telefonico, di cui allora e nemmeno oggi è nota l’identità, erano i pomposi funerali di papa Giovanni Paolo II in quanto evento mediatico, in quanto spettacolo totalmente interno alla società di massa, che non rendeva giustizia, secondo Ranchetti, a un’altra Chiesa "visibile”, ma non esibita. Assistetti in silenzio alla telefonata. Non appena Michele riattaccò la cornetta, dopo un breve saluto, mi pose subito, a bruciapelo, la seguente domanda: "Ma dove abbiamo sbagliato?”. Stupito e colto alla sprovvista, reinterpretai la domanda nel senso di: "Che cosa abbiamo sbagliato, noi intellettuali della mia generazione, di fronte al degrado civile, culturale e morale del Paese?”. In maniera forse un po’ ingenua e superficiale, risposi che forse, tra le altre cause, non si era considerato a sufficienza l’enorme impatto che aveva avuto la recente rivoluzione tecnologica e digitale sulle modalità classiche di trasmissione del sapere. La rapidità con cui si è compiuta questa rivoluzione nel medium "linguaggio”, nell’universo "comunicazione”, nel dominio "visivo”, una rapidità non attestabile in nessun’altra fase storica precedente, ha investito ben quattro generazioni simultaneamente, provocando una sorta di frattura linguistica e comunicativa, ma prima ancora cognitiva, mutando le logiche mentali, di apprendimento, e spezzando in una certa misura la trasmissione del sapere da una generazione all’altra.
Ranchetti ascoltò in silenzio, con la sua consueta attenzione vigile, tale risposta improvvisata e semplicistica. Ma questo discorso dovette forse innestare nel suo orecchio sensibile una piccola pulce, che lavorò di nascosto nei mesi successivi. A ottobre, dopo una riunione editoriale del gruppo "freudiano”, alcuni amici (ricordo Mauro Bertani, Gianfranco Bonola e Roberto Righi) suggerirono di raccogliere i materiali necessari alla pubblicazione di una Festschrift per gli ottant’anni di Ranchetti, un po’ come si era fatto qualche anno prima con il volume Anima e paura. Proposi di integrare o addirittura di sostituire la Festschrift con un prodotto multimediale, un’intervista, un documentario, un filmato. La proposta piacque e fui sollecitato a impostare il progetto.
Ne parlai con gli altri membri del nostro collettivo, subito entusiasti per la proposta. Chiamammo Ranchetti, il quale, con nostra gran sorpresa, accettò immediatamente l’idea che gli sottoponemmo, senza riserve o esitazioni. Dal canto suo pose, con il sorriso sulle labbra, un’unica condizione. Qualche tempo prima aveva visto in video una lunga intervista a un altro intellettuale fiorentino, che trovò tremendamente noiosa: ci pregò di realizzare qualcosa di meno monotono e di più gradevole!
Per finalità pratiche, ci accordammo solamente sull’articolazione generale del racconto, individuando sette grandi momenti, o periodi, nella sua vita.

Le riprese furono effettuate nella residenza fiorentina di Michele Ranchetti in data 23 ottobre 2005, in prossimità quindi dell’ottantesimo compleanno del protagonista. La troupe girò circa 180 minuti di materiale in presa diretta, con una camera fissa e due camere a mano. Nel montaggio definitivo si trovano circa 90 minuti di parlato e 30 minuti di altri materiali (sigla, titoli di coda, immagini di copertura). Le riprese vennero eseguite con luce naturale, senza richiedere al protagonista né trucco né abbigliamento particolari. Alle location interne ed esterne, scelte per le riprese, non furono apportate modifiche sostanziali, rimanendo dunque intatte. Lo spettatore abituato a frequentare villa Ranchetti riconoscerà quindi oggetti noti, di cui Michele si circondava nel suo vivere e pensare quotidiani: cataste di libri, portaceneri stracolmi, tazze sbrecciate, sedie sghembe, giochi dei nipoti e altro ancora.
Ranchetti socializzò subito con i membri della troupe e dimostrò vivo interesse per i nomi e le funzioni delle attrezzature audio e video u ...[continua]

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