La polemica politico-culturale tra Gaetano Salvemini ,“il passerotto dell’empirismo”, e Benedetto Croce, il “teologo dell’idealismo”, ha attraversato l’intero Novecento. Non è stata solo una controversia intellettuale, ma ha simbolizzato la divisione tra liberali e democratici che ha pesato negativamente sulla vicenda dell’antitotalitarismo italiano. Nel secondo dopoguerra i radicali salveminiani hanno dato vita a formazioni intransigenti ma marginali come il Partito d’Azione, e i liberali crociani si sono divisi tra conservatori e riformatori, tutte correnti rimaste ai margini della politica nazionale. Solo “Il Mondo” di Mario Pannunzio (1949-1966) riuscì nel secondo dopoguerra a far convivere l’uno accanto all’altro Croce e Salvemini, i due maestri che divennero i punti di riferimento del settimanale, e a far dialogare liberali e democratici nella prospettiva irrisolta della “Terza forza”.
Lo storico Sergio Bucchi, nella sua ultima opera dedicata al Grande laico, La filosofia di un non filosofo (Bollati Boringhieri, 2022) traccia un profilo completo delle idee e degli ideali di Salvemini in cui sono tracciati i suoi contrasti con Croce che affondano le radici all’inizio del Novecento. Nel volume La Rivoluzione francese del 1905 emerge la passione del giovane storico (nato nel 1873) iscritto al Partito socialista per il trinomio “liberalismo”-“democrazia”-“socialismo” a fronte di Croce che lo critica perché tratta nella sua storia la rivoluzione come un oggetto autonomo al di là dei protagonisti e dei movimenti. Ne Il ministro della mala vita, pubblicato dalle Edizioni della Voce nel 1910, attacca i metodi camorristici con cui Giovanni Giolitti vinceva le elezioni nel Sud d’Italia, un libello definito da Croce “lo sfogo del candidato sconfitto nel suo collegio elettorale pugliese”. Dopo quarant’anni anni l’anziano Salvemini nella prefazione a L’età di Giolitti di un giovane italo-americano, A.W. Salomon, pubblicato in italiano nel 1949, ribadiva “la ripugnante degradazione dell’Italia del Sud sotto Giolitti”, e Croce gli rispondeva con un giudizio sferzante: “Un buon libro di un giovane storico con una prefazione sbagliata”. Salvemini firma nel 1925 il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” ideato da Croce e pubblicato sul “Mondo” di Giovanni Amendola, ma poi accusa il filosofo liberale di essere rimasto in Italia mentre don Luigi Sturzo, Filippo Turati e i fratelli Rosselli prendevano la via dell’esilio contrapponendosi frontalmente a Mussolini. Nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale dall’esilio americano colui che era il nume tutelare dell’antifascista “Mazzini Society” (con Randolfo Pacciardi, Giuseppe A. Borgese, Alberto Tarchiani e i sindacalisti Luigi Antonini e Augusto Bellanca…) incita socialisti, azionisti e repubblicani a non fare alcun compromesso con la Monarchia responsabile del fascismo proprio nel momento in cui Croce, nell’Italia distrutta e occupata, collabora insieme a Togliatti alla faticosa ripresa della vita civile e politica con i governi del generale Badoglio e del presidente del Comitato di Liberazione nazionale Ivanoe Bonomi.
Lo storico empirico e il filosofo idealista, dunque, erano stati per cinquant’anni inconciliabili: Salvemini amava le libertà concrete e storiche e disdegnava la religione crociana della libertà astratta. Quella barriera che aveva diviso i due grandi intellettuali nell’Italia liberale, durante il fascismo e nel dopoguerra democratico fu in parte infranta sulle colonne de “Il Mondo” diretto da Mario Pannunzio, che aveva ripreso la testata di Giovanni Amendola i cui giovani militanti -Ugo La Malfa e Leone Cattani, Edoardo Volterra e Nicola Chiaromonte, Pilo Albertelli, Eugenio Colorni…- avevano creato nel 1924 l’“Unione Goliardica per la libertà”, l’organizzazione giovanile antifascista che fu presto sciolta dal regime. Dopo lo shock del 18 aprile 1948, e probabilmente proprio in seguito all’egemonia che nella nuova Italia avevano acquisito i catto-clericali di Luigi Gedda e comunisti frontisti di Palmiro Togliatti, per iniziativa della sinistra liberale (Pannunzio, Cattani, Carandini, Mario Ferrara…) e più in generale del mondo laico in tutte le sue sfumature, apparve nelle edicole il nuovo settimanale (febbraio 1949) a cui collaboravano liberali e democratici insieme a socialisti riformisti (Silone, Riccardo Lombardi…) e cattolici liberali (don Luigi Sturzo…). Fu Ernesto Rossi, collaboratore con altri ex-azionisti -Leo Valiani, Mario Paggi, Aldo Garosci, Guido Calogero…- a sollecitare l’adesione di Salvemini il quale, dapprima diffidente verso i liberali, fece poi del “Mondo” il suo organo preferito con 86 articoli politici e storici di grande rilievo pubblicati tra il 1949 e il 1956. Tra lo storico ottantenne e il direttore quarantenne vi fu un’intensa corrispondenza che assunse mano a mano il tono di un’amicizia, per non parlare di affettuosa vicinanza politico-culturale in cui l’anziano profeta radicale passò dal “caro” al “carissimo” e dal “lei” al “tu”. A sua volta Pannunzio, uomo freddo e tutt’altro che disponibile a slanci amicali, confidò a Leo Valiani nel 1962, quando il vecchio Partito radicale si stava disgregando: “Anch’io, come te, mi sento un politico più vicino a Salvemini che a Croce: Croce ha poco o nulla da insegnarci”. L’intelligenza politica di fronte agli integralismi della Guerra fredda univa i due intellettuali nella comune avversione a fascisti, comunisti e ai clerico-autoritari.
Alle elezioni del 1953 Salvemini scriveva: “Noi siamo gli ultimi eredi di una stirpe illustre che si va rapidamente estinguendo […]. Ci denomineremmo volentieri ‘liberali’ ma […] ‘democratici’ ma […] anche ‘socialisti’ o ‘socialdemocratici’ ma […] e ‘repubblicani’ ma le quattro lettere Ldsr ci ricorderebbero tutti i vituperi che accompagnano le realtà separate. Dichiariamoci niente altro che ‘pazzi malinconici’”. Invitando a votare per Pri, Pli e Psdi alleati con la Dc di De Gasperi nella legge maggioritaria, Salvemini usò l’espressione “stringiti fortemente il naso”, poi attribuita a Indro Montanelli. In piena Guerra fredda sul “Mondo” si era compiuto il miracolo della coesistenza di Croce e Salvemini e dell’incontro tra liberali e democratici che mai si sarebbe realizzata nella politica italiana perennemente frastornata da ideologismi e populismi.