Con un lungo corteo i genovesi, raccolti sotto le bandiere della Cgil e dell’Anpi, hanno voluto ricordare anche quest’anno il giorno nel quale giovani e partigiani, studenti, intellettuali, donne e cittadini evitarono l’oltraggio alla città medaglia d’oro della Resistenza, di vedere nelle proprie strade i camerati del Msi che nelle giornate del giugno 1960 volevano celebrare il loro congresso nel teatro Margherita, a pochi metri dal sacrario ai caduti, che la loro vita avevano offerto per avere libertà, lavoro e pace.
Al corteo del 30 giugno erano presenti molto giovani attenti alle parole del sindacalista Igor Magni, segretario regionale Cgil, che ha lamentato le trascuratezze della sinistra politica nei confronti del problema del lavoro per le nuove generazioni; Massimo Bisca, segretario Anpi, ha ricordato come, a pochi anni di distanza dalla fine della guerra, il fascismo tentasse di risalire alla ribalta proprio nella città che, unica in Europa, aveva costretto i nazisti alla resa senza l’aiuto degli alleati. Ma è stato Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, che con il suo impegno di denuncia quotidiana dei troppi misfatti fascisti e delle loro connivenze che attraversano l’Italia, ha espresso grandi preoccupazioni per l’emersione di provocazioni di cui si occupa da decenni e che gli hanno guadagnato, unico in Europa, la necessità di affidarlo nei suoi spostamenti a una scorta, per le minacce gravi che riceve sui social quotidianamente dagli sciocchi e ignoranti seguaci della ideologia mussoliniana. Da notare la totale assenza di esponenti delle istituzioni genovesi (eccetto due consiglieri, uno regionale e uno comunale del Pd). Berizzi ha scritto libri e da inviato ha raccolto precisi elementi che dovrebbero attenzionare il Governo verso il rispetto della Costituzione antifascista. Per questo appare doveroso ripercorrere i drammatici fatti genovesi che portarono alle dimissioni del governo del democristiano Ferdinando Tambroni al quale i fascisti del Msi avevano dato aiuto determinante nel varo del suo governo proprio nel giugno del ’60. Impossibile dimenticare quelle giornate.
Giuseppe Pellerano, Rinaldo Ferrari, Otello Delpino, Aldo Perugi, Paolo Varretto, Giuseppe Calcagno, Pietro Visconti, Giuseppe Moglia. È molto lungo l’elenco dei cittadini genovesi che furono condannati ad anni di reclusione per avere partecipato il 30 giugno 1960 alla manifestazione antifascista che voleva tenere lontano dalla città il congresso fascista del Msi che il presidente del consiglio Fernando Tambroni aveva autorizzato per il 2 luglio.
Nella retorica rievocativa, che mette in risalto il successo di una città che seppe esaltare coraggio e libertà e memoria storica, spesso si rimane in superficie a valutare i fatti di quei giorni. Ma è certo che senza la spinta dello sdegno popolare e l’impeto di tanti giovani che in quelle giornate furono insieme protagonisti e vittime di un clima intriso di trame autoritarie, non ci sarebbe stato il salto verso un modello di società che avrebbe guidato il paese verso uno sviluppo prodigioso.
L’annuncio del congresso del Msi si era palesato un po’ in sordina. Le grandi testate giornalistiche della sinistra, soprattutto “l’Unità”, pensavano di poter collocare l’avvenimento in una dimensione locale. A Milano, qualche anno prima, il congresso del Msi si era tenuto senza incidenti.
Toccò al senatore Umberto Terracini, genovese di nascita e presidente dell’Assemblea Costituente, agitare le acque in un severo intervento a Pannesi di Lumarzo in occasione della festa delle Repubblica, dove parlò della provocazione che si stava mettendo in atto. Al comizio nella Fontanabuona era presente il segretario dell’Anpi Giorgio Gimelli (nome di battaglia Gregory) che, con i suoi fidati compagni Elio Terribile, Eraldo Olivari e Orlando Parodi (Polvere), Elio Balestrino, Carlo Cerboncini, diede il via a una sottile trama che allertava le forze partigiane che avevano presidiato le montagne intorno a Genova. Furono dissotterrate anche le armi. Don Dellepiane, parroco di Barbagelata, scriveva: “Le nostre piaghe sono ancora aperte. L’incendio acceso dai nazifascisti nel nostro paese nell’agosto ’44 non è ancora spento”.
La questura vieta manifestazioni pubbliche già il 25 giugno con scuse provocatorie (occorreva chiedere l’autorizzazione alla manifestazione almeno tre giorni prima). Genova viene dipinta a livello ministeriale come città di pericolosi sovversivi. A Palermo avvengono gravi sc ...[continua]

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