Edi Rabini, di Bolzano, è stato per molti anni il più stretto collaboratore di Alex Langer.

Alex aveva una cura quasi maniacale del suo indirizzario. Ce ne puoi parlare?
Al suo indirizzario dedicava tantissimo tempo e l’aveva custodito negli anni come una delle cose più preziose. Aveva continuato ad accrescerlo senza interruzioni. Mentre io aggiorno la mia agenda ogni anno cancellando quegli indirizzi che non mi sembrano utili in un certo periodo della vita, Alex aveva deciso di mantenere con grande gelosia, con grande affetto, con una memoria straordinaria, tutti gli indirizzi delle persone che via via aveva incontrato. Per lui erano persone vive che amava ricordare e di cui, spesso, continuava a sapere anche cose personali, il loro modo di pensare, cosa stavano facendo, cosa avevano fatto, quali responsabilità si erano assunte. Gli piaceva pensare di aver fatto un pezzo di strada insieme e che poi si erano prese direzioni diverse. Cercava spesso, non so nemmeno con quante persone, di mantenere vivo il rapporto, anche solo ricordando un compleanno, e attraverso quello un episodio di vita in comune. Contemporaneamente continuava a pensare, anche, in quali reti di rapporti avrebbero voluto essere utilmente inserite, ma senza mai alcun progetto di unificazione delle persone in un’organizzazione o un partito. Alex apprezzava molto le persone che pur lavorando in maniera solidale erano capaci di mantenere una propria autonomia individuale, una propria identità personale e proprio per questo era capace di vedere, di riconoscere la bellezza delle strade diverse prese dagli altri.
E infatti ciò che lo addolorava, fino a non riuscire a sopportarlo fisicamente, non era che nei rapporti privati o in quelli pubblici le strade si separassero, ma che da una differenza di idee nascesse un’incompatibilità, un’incomunicabilità sul piano personale. Questo lo feriva tremendamente.
L’indirizzario sembra emblematico anche del suo modo di fare politica…
C’era un’estrema unità tra come lui lavorava con le singole persone e come agiva in politica. Quando incontrava una persona Alex cercava che ci fosse almeno una cosa particolare, molto personale, che gli permettesse poi di mantenere un legame stabile e originale. Alex ha partecipato a moltissimi incontri pubblici come relatore o correlatore, ma non ricordo di avere sentito due volte la stessa argomentazione, anche se magari si trattava dello stesso tema. Nell’attività pubblica, e questo lo si vede negli scritti che ha lasciato, aveva sempre la preoccupazione di rispondere in maniera molto specifica e il più possibile vicina alle aspettative di chi era lì ad ascoltare. Sia che parlasse in una parrocchia o a un gruppo di giovani o a un convegno, cercava di creare almeno un piccolo legame secondo l’aspettativa e l’esigenza concreta di chi aveva di fronte.
Proprio per questo ha frequentato molto di più piccoli gruppi che non i grandi convegni che lo infastidivano perché spesso si riducevano a parate di interventi dove le persone, dovendo confrontarsi con una cosa grande, esterna a loro, erano quasi obbligate ad andare in una direzione. Amava molto, invece, incontrare piccoli gruppi che gli ponessero delle domande concrete, e lui si sforzava sempre di intervenire nel merito.
Si è sempre rifiutato di dar vita a un’organizzazione stabile. C’è questo suo famoso slogan: solve et coagula…
Infatti. Se da una parte stava attento che la responsabilità individuale non sfociasse nell’individualismo, o nel cinismo, o nell’indifferenza, dall’altra si preoccupava molto che il lavoro collettivo non uccidesse mai la responsabilità individuale. Alex, soprattutto per le esperienze da cui veniva, sia nel mondo cattolico che nella sinistra, era portato a considerare questo come il punto più delicato. Periodicamente, infatti, era spinto ad abbandonare luoghi di lavoro collettivo, o che lui stesso aveva promosso o in cui era inserito, proprio perché avvertiva che un gruppo o una struttura stava diventando autoreferenziale, che non aveva più la freschezza per confrontarsi con i problemi, denunciarli, vederne la drammaticità, sollecitare molti a occuparsene e coltivare l’illusione, se si vuole, di risolverli e cominciava, invece, a coltivare l’idea che la sola adesione al gruppo fosse già la soluzione. Se, come diceva con una delle sue frasi tipiche, la corte diventava più importante del regno, allora lui era portato a scappare. Questa è stata un po’ la grande linea di demarcazione anch ...[continua]

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