Gino Bianco, studioso del movimento operaio e socialista, giornalista e saggista, è stato amico e collaboratore di Nicola Chiaromonte.

Nicola Chiaromonte, che fino alla morte è stato un intellettuale molto discusso, oggi viene riscoperto come possibile ispiratore di una sinistra post-comunista…
Per me, Chiaromonte è stato un maestro non solo per il pensiero, ma anche per la vita. Come il suo amico e maestro Andrea Caffi, fu innanzitutto un uomo con la passione della politica e del pensiero ed è per questo che anche i suoi scritti, parte dei quali è stata ripubblicata da Il Mulino, non hanno un carattere sistematico, né possono averlo, perché sono il riflesso dell’itinerario travagliato di un pensatore originale ed anticonformista, di un militante politico, di un cittadino del mondo. Di lui, Gustaw Herling ha scritto: "Dai saggi giovanili sul fascismo fino alle riflessioni sui temi dell’arte c’è in tutta l’opera di Chiaromonte la critica alla nostra età che pratica il divorzio fra etica e politica. Scriveva in modo da trasmettere non solo un pensiero chiaro e libero, ma una continua tensione morale, in modo che nella parola viveva tutto intero e la esprimeva come una verità lungamente soppesata e sofferta. Provava ribrezzo davanti ai grandi sistemi e alle interpretazioni generali, sfiducia di fronte ai cavilli dialettici che storpiano la vita e alle ombre ideologiche che coprono la realtà, disprezzava lo psicologismo. Lo interessava invece l’uomo concreto di fronte agli avvenimenti concreti. Era, nel modo tolstoiano, capace di giudizio etico e allo stesso tempo consapevole di qualcosa d’imperscrutabile che l’oltrepassa. La tradizione greca era da lui intesa come una medicina contro il morbo della banalità plateale". Per tutta la vita, infatti, Chiaromonte si è occupato di politica, di filosofia, di teatro -fu per molto tempo critico teatrale, prima al Mondo di Pannunzio e poi a L’Espresso- e di letteratura, cercando sempre di andare alla radice delle idee e facendo giustizia delle tante sciocchezze correnti in una cultura formalista e provinciale quale era quella italiana in cui visse. Sempre animato dalla passione per la meditazione sull’azione politica e, in senso lato, sul significato della storia, come emerge dai saggi su Tolstoj, Stendhal, Martin du Gard, Pasternak e, naturalmente, su Malraux e Camus, di cui fu grande amico.
Chiaromonte, così come l’ho conosciuto io, fu una voce solitaria, sdegnosa contro ogni opportunismo politico, un pensatore scomodo, vittima della sinistra ipocrita. Personalmente, come ha ricordato recentemente Arbasino, era austero, ma tutt’altro che arcigno. Era invece amabile e spiritoso, estremamente piacevole nella conversazione, senza un’ombra di boria e d’ipocrisia, privo di quella gravità falsa e tronfia che è propria di quei retori e pavoni che la demagogia e il conformismo promuovono spesso al rango di maestri.
Nemico dei mediocri soddisfatti, odiava la retorica in tutte le sue forme, e i suoi scritti testimoniano la sua scrupolosa personalità d’intellettuale, la sua cultura europea, il suo rigore, la sua intransigenza nell’impegno politico, la sua ripulsa per ciò che chiamava "il gesuitismo moderno" e "le menzogne utili".
Ciò che lo interessava di più era la comunicazione, il confronto delle idee, verso cui aveva un grandissimo rispetto, anche quando non le condivideva. Auspicava il ritorno a una cultura consapevole del suo compito formativo, dove l’individuo si ritrovasse a tu per tu con se stesso, con la società e con il mondo, per trovare ciò che è essenziale e ciò che non lo è, ciò che importa e ciò che non vale. Non a caso scriveva: "Il solo linguaggio fra uomini è quello che si può intessere sulla trama di credenze autenticamente condivise, in quanto costituiscono il presupposto per il fondamento di ogni discorso e non uno schema prestabilito o un insieme di dogmi", mentre il suo giudizio sul mondo in cui viviamo e sul ruolo che l’intellettuale è chiamato ad assolvervi lo espresse con molta efficacia in uno dei suoi ultimi scritti, Il tempo della malafede, in cui sosteneva: "La nostra non è un’epoca di fede, ma neppure d’incredulità, è un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza in opposizione ad altre e soprattutto in mancanza d’altre genuine", ed in cui i politici contemporanei "agiscono come se ci credessero, e invece..."
In virtù di questo suo atteggiamento rigoroso ebbe, fra l’altro, una vita avventurosa...
Era nato in Lu ...[continua]

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