II contributo che Andrea Caffi ha recato all'azione politica e culturale in difesa dei valori della libertà non ha trovato sinora riconoscimenti adeguati.
Già la stessa natura dell'uomo, semplice e modesto, la sua ritrosia a mettere in mostra pensieri lungamente meditati, la sua insofferenza per moduli scontati e per partiti abbarbicati a mantenere accesi fuochi ormai spenti dalla realtà, la sua dura polemica da un lato contro la borghesia colta asservita ai grandi interessi economici, dall'altro contro lo stalinismo i suoi esaltatori ed epigoni, l'incapacità ad incapsularsi in formule e riti, la sua denuncia di metodi politici strumentali e di confusioni culturali alla moda hanno reso impossibile sia una classificazione in quei filoni impegnati ai quali arride il successo per un concorso di cause legate alle attualità sia il concentrarsi dell'attenzione verso scritti scottanti per l'amarezza delle verità testimoniate.
D'altronde anche in vita Caffi cercò di evitare collocazioni che annullassero, con un generico nominalismo, la sostanza di un pensiero critico, continuamente teso alla ricerca di posizioni dialettiche, opponendo egli in ogni occasione al dogma il confronto.
Legato a profonde aspirazioni democratiche e libertarie, frutto di una esperienza che lo aveva visto giovanissimo impegnato -quale figlio di un italiano che lavorava a Pietroburgo- nella rivoluzione russa del 1905 quale sostenitore della linea menscevica, egli aveva maturato nella Parigi dell'emigrazione un habitus mentale cosmopolita nell'approfondimento dei motivi che rendevano travagliata la vita dell'Europa post-ottocentesca, nelle contraddizioni tra militarismo ed esigenze pacifiste, tra imperialismo ed individualismo, tra spinte politiche collettivistiche e miti letterari superomistici. Si comprende allora come all'indomani del primo conflitto le sue speranze per una collaborazione tra i popoli del continente si riveleranno pallide utopie. Mentre egli cerca di individuare gli elementi caratterizzanti del potere bolscevico e di spiegarne origini e strutture, la caduta dell'Italia sotto un governo dittatoriale conferma in lui le recondite ragioni del progressivo esaurirsi dell'anelito alla libertà.
L'avvento dell'era della massa lo trova attento indagatore di questioni attorno alle quali si era da giovane cimentato quale allievo di Simmel all'Università di Berlino.
E quando il terribile gioco è consumato con il trionfo hitleriano e con i processi di Mosca, Caffi tenta di rielaborare in sé e per sé i motivi di un crollo di ideali, di valori, di regimi ; le sue convinzioni lo condurranno a posizioni di isolamento, restio com'egli è a parlare per luoghi comuni, frasi di deteriore buonsenso, menzogne convenzionali.
La stessa partecipazione all'antifascismo militante lo trova sì schierato su un fronte nettamente individuato ma senza nessuna concessione alle ripetizioni pedisseque di modelli battuti dalla storia. Non a caso sarà proprio Caffi ad iniziare su Giustizia e libertà di Rosselli il dibattito sulla crisi di coscienza della gioventù fascista, a guardare a coloro che in Italia operano all'interno delle organizzazioni del regime imperante come a possibili interlocutori, per riprendere un discorso necessitato dall'eterno fluire degli eventi e che nessuna imposizione avrebbe potuto impedire. Ma proprio di quegli anni è il suo distacco dai gruppi ufficiali dell'antifascismo, il suo rinchiudersi in un ripensamento profondo sulle cause del tramonto della democrazia, della crisi del socialismo.
Il divampare del turbine nazista nell'Europa ce lo farà ritrovare quale infaticabile organizzatore clandestino nella Francia occupata; ma anche adesso che il suo rinnovato impegno socialista si sostanzia in un'azione comune con altri compagni ed altre forze politiche affiora la distanza che lo separa dai fautori della politique d'abord. Certo il suo disegno di presentare ai vincitori un movimento politico italiano autonomo dagli Alleati risponde ad un senso di dignità caratteristico del suo temperamento: ma è anche vero che il rincorrersi degli avvenimenti non consente di porsi al di sopra della mischia con la somma delle proprie speranze e dei propri orgogli. Urgono scelte precise, e la scelta di Nenni e di Saragat -in dissenso con Caffi- è per la ricerca di un fronte comune delle forze popolari italiane accanto agli Alleati.
I «distinguo», giustissimi in teoria, cedono di fronte all'incalzare delle necessità belliche. E d'altronde ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!