Alessandro Leogrande è redattore de “Lo straniero”, la rivista diretta da Goffredo Fofi. Recentemente ha pubblicato Nel paese dei viceré. L’Italia tra pace e guerra (Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006).

Nel tuo ultimo libro scrivi: “Il fascismo è stato l’autobiografia della nazione nella prima metà del secolo scorso; il berlusconismo lo è stato negli ultimi dieci anni”. Ci puoi parlare di questa immagine?
Sì, ti rispondo partendo dalla constatazione che uno dei limiti dei movimenti di questi anni -mi riferisco alla galassia dei movimenti contro il liberismo e la globalizzazione- è stato quello di non aver saputo fornire un’analisi originale del berlusconismo. Va, invece, fornita un’analisi della specificità italiana rispetto alla globalizzazione: un’analisi libertaria e radicale del berlusconismo, non solo come fenomeno politico, di Palazzo, ma come fenomeno antropologico e culturale, cioè politico in senso largo. Non facendo questo i movimenti hanno demandato il discorso al centro-sinistra istituzionale.
Il personaggio Berlusconi ha potuto vincere -in un processo che si concretizza elettoralmente nel 1994, ma che è di più lunga durata- perché ha rappresentato e continua a esprimere un modello, dei valori, una cultura che sono largamente condivisi in Italia. Il berlusconismo è un fenomeno maggioritario nel nostro paese. Ancora prima del decreto Craxi del 1984, che sanciva il duopolio televisivo Rai-Mediaset, Berlusconi è stato l’abile “palazzinaro” milanese che negli anni ’70 ha allargato i propri guadagni drenando capitali di dubbia provenienza e ottenendo la protezione di precisi settori politici. Il self-made man (anche se quel self, come detto, rimanda a precise alleanze) che esprime l’arroganza della ricchezza, l’odio per ogni attività intellettuale e di critica, il fastidio per ogni idea anche vagamente di sinistra.
Nelle Lettere luterane, Pasolini affermava che l’anomalia politica italiana era costituita dal fatto che esisteva un Palazzo ostaggio della Democrazia Cristiana -noi diremmo oggi la Prima Repubblica- infinitamente più lento e ingessato di quanto non fosse la società circostante. In questo discorso non c’era -come poi molti hanno male interpretato- una contrapposizione tra paese vitale e politica stagnante. Il paese era peggio del Palazzo, perché era quello che produceva i massacri del Circeo, quello del neofascismo di massa, della fine della cultura popolare, dell’orizzonte piccolo borghese di massa.
Tutto questo, però, era in qualche modo più moderno e neocapitalistico di quanto non fosse la prassi politica democristiana. Quindi Pasolini si domandava (siamo a metà degli anni ’70, e più che di preveggenza si può parlare di realismo prefigurativo): nel caso ci sia un processo al Palazzo, cosa accadrà? Decapitando il Palazzo democristiano, questa società regressiva finirà per occupare il potere. Verrà eliminata quella particolare discrepanza tra politica e società, ci sarà un unico tempo. Tuttavia, con l’affermazione di questo unico tempo, non ci sarà certo la rivoluzione o la risoluzione dei problemi, ma, più semplicemente, si assisterà a un riassestamento politico in linea con la mutazione antropologica. Pasolini scrive espressamente che, dopo la Democrazia Cristiana, si sarebbe affermato un nuovo partito del Tecnofascismo. Ecco, credo che tale evoluzione, anticipata da Pasolini, sia avvenuta con il berlusconismo. C’è stata un’occupazione privatistica del Palazzo. L’occupazione del potere politico da parte di un magma sociale, che si identifica con un capo, ma che è diffuso capillarmente nel paese.
Questo scenario richiama ciò che avvenne con Mussolini e il fascismo, basta andarsi a rileggere “La rivoluzione liberale” di Gobetti. Pur andando avanti, è come se il berlusconismo avesse saltato regressivamente quarant’anni di storia e si fosse riconnesso a un sostrato più profondo.
E’ questo il continuismo italiano: il mito della forza, ieri declinato nel patriottismo o nello squadrismo o nel mito della violenza, oggi è declinato nella ricchezza, nel potere finanziario o in quello che, già anni fa, Lasch definì narcisismo di massa. Ma sempre di ricerca della sopraffazione e di pulsioni antisociali si parla. E sempre di trionfo degli “spiriti animali” si tratta. Aggiungerei anche -sia detto marginalmente- che tanto il fascismo quanto il berlusconismo articolano in maniera reazionaria una vera e propria mistica del corpo, sulla quale gli studiosi del costume so ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!