Maria Frieri e Rocco De Paolis da due anni insegnano la lingua italiana a un gruppo di detenuti extracomunitari reclusi presso la Casa Circondariale Le Vallette di Torino, nell’ambito di un corso di formazione più generale, di avviamento al lavoro.

Per il secondo anno entrate alle Vallette per insegnare l’italiano agli stranieri. Potete raccontare?
Rocco. L’esperienza è iniziata lo scorso anno, quando abbiamo lavorato con circa 25 studenti, divisi in due gruppi: i detenuti venivano quattro volte la settimana per due ore al giorno, quindi otto ore totali, nell’ambito di un progetto europeo, per cui hanno ricevuto anche una borsa di studio.
Quest’anno l’iniziativa, visto l’esito positivo dell’anno scorso, si è ripetuta con una piccola modifica: ora i detenuti che frequentano il corso sono quasi tutti in un’unica sezione, in cui c’è anche il progetto di un laboratorio interno al carcere, con corsi di falegnameria, di pittura, e artigianato vario; all’interno di questa sezione ci sono anche detenuti italiani e quindi la convivenza è mista.
Maria. L’anno scorso, quando c’è stato proposto questo progetto, abbiamo fatto delle riunioni di preparazione in carcere. Ebbene, sembrava che le sezioni dove c’erano i detenuti stranieri fossero luoghi ad altissimo rischio, perché queste persone, così emarginate anche dentro il carcere, spesso senza documenti, senza codice fiscale, senza poter svolgere delle attività, senza i permessi, senza possibilità di telefonare, non erano ovviamente in una situazione di serenità, per cui pareva che ci fossero grandissime tensioni, tra di loro, come con gli italiani e con gli agenti di custodia. Così c’era stato detto: "Provate ad andare e vediamo se, intanto, gli agenti vi accettano; secondo, se vi accettano i detenuti italiani che stanno lì con questi stranieri; terzo, questi stranieri sono selvaggi..." Il messaggio era: provate, ma ricordando che con grandi probabilità tutto andrà a monte.
Ecco, in realtà i detenuti stranieri hanno accolto questa iniziativa ancor prima di sapere dell’esistenza di una borsa di studio, per cui avrebbero ricevuto dei soldi; si sono comportati nel modo il più possibile educato, accogliente; hanno mostrato il loro volto migliore, se vogliamo; i detenuti italiani pure hanno mostrato una grande tolleranza; gli agenti sono stati molto disponibili, così questa iniziativa è filata liscia e io non ho più sentito dire che le sezioni degli stranieri sono un serraglio. Credo che questa esperienza, per quanto minore, abbia trasformato qualcosa in carcere.
Rocco. All’interno delle Vallette già funzionava una scuola, al mattino, aperta anche agli studenti stranieri, però è situata in uno spazio diverso e quindi i detenuti vengono portati, scortati, dalle celle verso la scuola.
La peculiarità della nostra esperienza, che è nata come espediente logistico ma si è poi trasformata in una novità anche dal punto di vista umano, è il fatto di svolgere le lezioni all’interno della sezione dove ci sono le celle. In pratica abbiamo messo dei tavoli vicino all’atrio, nella cosiddetta area socialità.
Inizialmente era stato un po’ un ripiego logistico, appunto per organizzare i trasferimenti, poi invece è diventata una delle componenti fondamentali di questa novità: nello spazio in cui vivi, in cui sei recluso, c’è un’attività che è proprio per te e per la comunità un po’ ristretta dei tuoi compagni di cella che incontri quotidianamente senza poter però mai veramente parlare di argomenti che non siano la condizione carceraria.
Quindi è stata un po’ una "riappropriazione dello spazio" che ha avuto inattesi effetti positivi.
Gli agenti stessi, che dovevano ora accollarsi anche la responsabilità per la nostra sicurezza, hanno presto visto che il clima era buono, per cui ci hanno concesso la massima libertà, nel senso che il controllo rimaneva, ma era molto soft.
Ecco, questo è stato un primo aspetto: recuperare uno spazio che normalmente si usa, in cui si vive, con un’attività indirizzata proprio a te e legata all’apprendimento della lingua, con persone che fanno questo lavoro in modo professionale.

Noi infatti lavoriamo abitualmente in questo settore, per cui abbiamo messo a disposizione anche una certa quantità e qualità di materiali. Insomma, loro hanno capito di aver di fronte non il volontario -che per carità è bravissimo, simpatico, disponibile- ma un corso vero con tutti gli strumenti necessari, minimi perché magari all’interno del carcere è difficile ...[continua]

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