Umberto Santino è fondatore, con Anna Puglisi, del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato”. È autore di vari scritti, tra cui ricordiamo: Dalla mafia alle mafie (2006), Mafie e globalizzazione (2007), Storia del movimento antimafia (2000, 2009), Don Vito a Gomorra (2011).

Da tempo la mafia siciliana non è in prima pagina. Ha capito che non deve più compiere grandi delitti e stragi o è in difficoltà?
Dopo i grandi delitti degli anni 80 e le stragi dei primi anni 90 la mafia siciliana, soprattutto l’associazione Cosa nostra, che ne costituisce il raggruppamento principale, ha ricevuto dei colpi, con l’arresto e le condanne di capi e gregari. La violenza mafiosa rivolta verso l’alto, contro uomini delle istituzioni, in particolare il generale-prefetto Dalla Chiesa e i magistrati più noti, Falcone e Borsellino, ha provocato un effetto boomerang che ha decimato l’organigramma di Cosa nostra e ne ha ridimensionato il ruolo e le attività. Cosa nostra adesso ha problemi, deve ricorrere alle seconde file e a nuove leve, non ha più un ruolo egemonico, come negli anni 70 e 80, nel traffico di droghe, anche perché si sono imposti e sono sorti altri soggetti criminali. Continua a praticare le estorsioni, ma negli ultimi anni, grazie all’impegno delle istituzioni e delle associazioni anti-racket, le denunce di commercianti e imprenditori sono aumentate.
A Palermo operano altri gruppi criminali, attivi nel traffico di droghe e nello sfruttamento della prostituzione e da qualche inchiesta risulta che per il traffico di stupefacenti ci siano affari in comune tra mafiosi locali e nuovi arrivati, non è escluso che possano esserci anche nel mercato del sesso. Secondo un vecchio stereotipo la mafia non si occupa di "queste cose”, ma nell’Ottocento i bordelli del quartiere Albergheria di Palermo erano gestiti da soggetti assimilabili ai mafiosi e negli Stati Uniti una delle attività più lucrose della mafia siculo-americana è stato proprio il business della prostituzione.
Le poche notizie che compaiono sulla stampa nazionale riguardano il processo in corso sulla trattativa mafia-Stato.
Non so che esito avrà il processo sulla cosiddetta trattativa. Com’è noto, non esiste un reato con questa denominazione. Mafiosi e altri soggetti sono incriminati per concorso in violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato (art. 338 codice penale). Per arrestare le stragi ci sarebbero state concessioni, riguardanti l’applicazione delle norme sul carcere duro, il 41bis, da parte di rappresentanti delle istituzioni nei confronti dei mafiosi che, dopo la strage di Capaci, avrebbero organizzato quella di via D’Amelio per ottenere l’accoglimento di altre richieste. L’elenco era contenuto nel famoso "papello” e la strategia sarebbe racchiusa nella frase pronunciata da Riina: "Si fa la guerra per fare la pace”. Borsellino sarebbe stato ucciso perché si sarebbe opposto alla trattativa.
Temo che il processo in corso finisca "all’italiana”, come il processo più noto su mafia e politica, quello ad Andreotti, conclusosi con mezza assoluzione e mezza condanna: accertato il reato di associazione a delinquere semplice fino al 1980 (allora non c’era l’associazione di tipo mafioso, prevista dalla legge antimafia del 1982), ma prescritto; assoluzione per gli anni successivi.
Nel processo con rito abbreviato c’è stata la sentenza di assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino per non aver commesso il fatto. Si richiama la norma sulla mancanza o insufficienza di prova e quindi il fatto sussisterebbe, ma non è provato che l’imputato l’abbia commesso. Non so che effetto potrà avere questo precedente nel processo ordinario.
E la Chiesa? C’è stata la beatificazione di padre Puglisi, Papa Francesco ha pronunciato dure parole di condanna e invitato i mafiosi alla conversione. Ora ha scelto come arcivescovo di Palermo un parroco di provincia.
Sono segnali significativi. La Chiesa cattolica aveva cominciato a pronunciare parole chiare di condanna della violenza mafiosa con il cardinale Pappalardo e con Giovanni Paolo II. Poi c’è stato l’assassinio di don Puglisi e la sua beatificazione come martire della fede avrebbe sancito l’incompatibilità tra mafia e vangelo e quindi l’estraneità dei mafiosi alla comunità dei credenti. Il problema rimane la prassi quotidiana, la Chiesa di ogni giorno, non quella delle prediche nelle feste comandate. Temo che anche il culto del beato Puglisi abbia preso la piega della devozione t ...[continua]

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