La mia era una famiglia normalissima. Quand’ero piccola non c’era babbo natale, c’era Gesù bambino che portava i regali, e quello è stato il mio primo approccio con la fede. Poi è arrivato il catechismo, che all’epoca veniva fatto solo prima della comunione e prima della cresima, per lo più dalle suore che a otto anni ci spiegavano che le donne non potevano fare il prete perché il prete deve confessare e le donne non sanno mantenere i segreti.
Così ho cominciato subito a sentirmi offesa, ovviamente. Non potevo sopportare che quella fosse l’unica motivazione logica che le suore trovavano per giustificare le discriminazioni. E poi c’era la questione dei chierichetti. A un certo punto chiesi di fare anch’io la chierichetta, beh, il prete non si premurò nemmeno di rispondermi, si mise a ridere come un pazzo dicendo al viceparroco: "Hai sentito, vuole fare la chierichetta!”.
Con queste premesse, fatta la cresima finita la frequentazione della chiesa.
Tra l’altro, qualche anno dopo, tornando a frequentare la parrocchia per il coro, ho scoperto che tra i chierichetti c’era anche una bimba, allora sono andata dal parroco (che era sempre lo stesso) e gli ho detto: "Ah, adesso prendete anche le bambine!”. "No, è che questa ha i capelli corti e sembra un maschio”. Così anche l’esperienza nel coro è durata poco.
All’epoca vivevo ad Alassio, provincia di Savona. Nel 1989 sono venuta a Bologna, dove ho conosciuto il movimento di Comunione e Liberazione. E’ stato amore e odio: ero molto colpita da queste persone che vivevano la fede come partecipazione alla vita dell’Università e alla vita politica. Per me era una dimensione completamente nuova. Non ero d’accordo su certe posizioni, su certe rigidità, a volte mi sentivo anche molto costretta, mi sembrava fosse una specie di setta. Però questa loro intensità mi affascinava molto.
C’erano persone molto in gamba con cui mi trovavo bene, col tempo però è diventato prevalente il peso delle persone con le quali non mi trovavo bene, per cui ho abbandonato la frequentazione di questo movimento, che comunque mi ha segnato, rivelandomi una dimensione della fede per me inedita.
Mentre frequentavo i ciellini ho trovato i focolarini, e devo dire che con loro mi sono trovata molto più a mio agio. Cioè, i focolarini sono caratterizzati dal fatto che secondo la fondatrice tutte le religioni hanno una regola d’oro, che può essere condivisa anche dagli altri, che è non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Con loro si andava molto sul concreto: si aiutavano le famiglie bisognose di Bologna, si raccoglievano fondi per gli alluvionati facendo torte, cose così.
Per me è stato un ulteriore passaggio sul come coniugare la fede con la vita nella sua quotidianità pratica. In Comunione e Liberazione prevaleva la sfera cerebrale, per così dire, c’era lo studio, l’impegno in politica, ma non ci si occupava di attività pratiche. Se dovessi invece fare una critica dei focolarini è che sorridono sempre. Certe volte questo atteggiamento diventava indisponente: "Ma io adesso non ho voglia di sorridere, perché sorridete tutti?”.
Ma la svolta definitiva è stato l’incontro con i gesuiti, perché lì ho trovato una consonanza con quello che sentivo e molto rispetto della persona individuale.
A quel punto è tornato fuori il problema dell’essere femmina nella Chiesa, perché comunque non sei l’essere umano di serie A, che è il maschio, sei quello di serie B. Tra l’altro, con i gesuiti mi sono resa conto che una certa immagine della donna che rifiutavo a livello intellettuale in realtà l’avevo assimilata profondamente a livello inconscio. Insomma, ero anch’io vittima di un certo numero di stereotipi senza neanche rendermene conto...
In particolare, mi era rimasto impresso un episodio: in un’occasione mi era capitato di ascoltare le confidenze di una suora che era molto triste per la perdita di femminilità legata alla menopausa. Io francamente lì per lì non avevo capito: "Ma a una suora cosa gliene importa della menopausa, visto che tanto non fa figli?”. Mi sono così resa conto di misurare anch’io la femminilità sul fare figli, che è lo stereotipo maschilista per eccellenza!
Devo dire che questo lavoro di sradicamento di stereotipi e pregiudizi non finisce mai. Io almeno penso di non averlo ancora concluso.
Negli anni sono diventa ...[continua]
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