23 giugno. Fratelli di Jihad
Nasser Muthana è uscito dal liceo l’estate scorsa con ottimi voti, e gli erano subito piovute addosso offerte da tutta l’Inghilterra. Ma lui aveva altri piani. Il padre di Nasser, Ahmed, ha scoperto che fine avesse fatto suo figlio solo lo scorso novembre: lo credeva a un seminario a Shrewsbuty, nei pressi di Birmingham, ma la polizia gli ha spiegato che il ragazzo in realtà era partito per la Turchia e, da lì, aveva attraversato il confine con la Siria. A febbraio anche il fratello più piccolo è sparito. Grazie a un passaporto fasullo è scappato a Cipro, dove la polizia ne ha perso le tracce. Nasser è ricomparso venerdì 18 maggio come oratore principale in un video di reclutamento diffuso dagli islamisti dell’Isis. È ancora in Siria a combattere il regime di Assad e il fratello dovrebbe trovarsi con lui. "Se conoscessi chi li ha reclutati sarei già in prigione per aggressione”, dice il padre. "Sicuramente c’entra Internet, ma secondo me ci sono dei predicatori fanatici che vengono in Inghilterra a indottrinare i ragazzi”. "Sta succedendo in tutto il Regno Unito”, spiega Barack Albayaty, portavoce della Moschea e del Centro Islamico di Al Manar, a Cardiff. (telegraph.co.uk)

24 giugno. Consegna a domicilio
Evan Cox per mantenersi agli studi consegnava pizze. Un anno e mezzo fa, quando lo Stato di Washington stava legalizzando la vendita di marijuana, ha capito che ci sarebbe voluto un bel po’ prima dell’apertura dei negozi, così ha avuto l’idea di passare alla "marijuana a domicilio”. Oggi la sua ditta, la Winterlife, fattura un milione di dollari al mese, impiega 50 persone e paga 167.000 dollari di tasse (in contanti perché non può aprire un conto). Evan Cox corre sul filo della legge: la marijuana si può comprare, ma non è chiaro se sia legale consegnarla. (nytimes.com)

25 giugno. Rifugiati
Il numero di persone costrette a lasciare la propria abitazione ha superato i 50 milioni. È la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’Unhcr stima ci siano circa 16 milioni di rifugiati (5 milioni di palestinesi e poi afghani, siriani e somali), un milione e duecentomila di richiedenti asilo e oltre 33 milioni di sfollati interni, che sono rimasti entro i confini del proprio paese. Metà dei rifugiati sono bambini; molti viaggiano da soli o in gruppi, finendo spesso in balia di trafficanti. Lo scorso anno più di 25.000 minori non accompagnati hanno chiesto asilo in 77 paesi, ma è solo una piccola parte dei bambini sfollati in giro per il mondo. Oltre alla guerra, oggi a far fuggire le persone sono i cambiamenti climatici, l’urbanizzazione, la scarsità d’acqua e di cibo. (theguardian.com)
 
11 luglio. Capelli
Il trapianto di capelli a Istanbul è l’ultima tendenza del turismo estetico e attira moltissimi clienti, soprattutto italiani. Biglietto aereo andata e ritorno, hotel, spostamenti in auto e giornata in clinica; il tutto a 2.500 euro. È uno dei pacchetti proposti dal sito di un’agenzia italiana specializzata in questo tipo di viaggi. Nella capitale turca le cliniche sono ovunque ed è abituale incontrare per strada uomini con vistose fasciature bianche sul capo. E non si parla solo di capelli: molto richiesti sono anche i trapianti di barba e baffi.

16 luglio. C’è posta per te
La posta elettronica ha stancato. Ne ha scritto Steven Pole sul Guardian. L’email è considerata uno dei principali colpevoli del sovraccarico di informazioni che pende sugli utenti del web. Secondo Shiva Ayyadurai, che nei tardi anni Settanta è stato uno dei primi sviluppatori di un sistema di comunicazione di posta elettronica di massa, "L’email ha trasformato tutti noi nelle segretarie di noi stessi”. Ora il problema è approdato nelle nostre tasche, con una vibrazione di notifica al minuto. Risolverlo è diventata la priorità dei colossi del settore. Gmail, il sistema di posta di Google, sta sperimentando una gestione del flusso in ingresso con caselle "cassonetto”. Ma in futuro Ayyadurai paventa la possibilità di automatizzare anche le risposte, con software che leggono le mail non solo per valutarne l’importanza, ma anche per rispondere al posto nostro. (theguardian.com)

22 luglio. Cina e frigoriferi
Chen Zemin è il più grande (l’unico per la verità) produttore di Tangyan, dolce tradizionale cinese fatto di palline realizzate con la farina di riso agglutinato, surgelato. Costretto all’epoca della Rivoluzione culturale a fare il chirurgo perché così era stato deciso, aveva anche fatto carriera, ma si annoiava. Gli piaceva molto cucinare e così un giorno ebbe l’idea di refrigerare i Tangyan. La dimestichezza con la refrigerazione, fondamentale in medicina per la conservazione di organi e sangue, lo aiutò e proprio con materiali medici di recupero costruì il primo freezer a due piani per immagazzinare i suoi Tangyan. Oggi ha sette stabilimenti e il più grande, situato a Zhengzhou, impiega 5000 operai e produce 400 tonnellate di Tangyan al giorno. In dodici anni, dal 1995 al 2007, i cinesi con il frigo in casa sono passati dal 7% al 95% nelle aree urbane. La cosiddetta "capacità refrigerante” cinese ha superato quella americana pur non avendo ancora approntato la logistica della "catena del freddo”. Quando anche la Cina avrà le stazioni refrigeranti, i macelli, i centri di distribuzione, i mezzi di trasporto e i magazzini, capaci di mantenere la temperatura fredda, a cambiare non saranno solo le abitudini dei cinesi, ma anche il clima. A preoccupare non è solo la grande quantità di energia necessaria, ma anche i gas refrigeranti. Gli esperti prevedono che nel 2050 gli idrofluorocarburi saranno responsabili della metà delle emissioni globali di gas serra. (nytimes.com)

31 luglio. Nessuno protesta più
"Cosa sente un pilota quando sgancia una bomba da una tonnellata su un’abitazione civile?”, "Mah, appena una piccola scossa all’ala del jet”. Così Dan Halutz rispondeva nel 2002, anno in cui era comandante delle forze aeree israeliane, a un giornalista che lo intervistava su un episodio che quell’anno aveva suscitato molto sdegno, in Israele: il lancio sull’abitazione di un capo di Hamas di una potentissima bomba che aveva ucciso quattordici civili, di cui otto bambini. Lo ha ricordato Yuli Novak, che dodici anni fa serviva l’Idf come ufficiale delle forze aeree, in un contributo pubblicato sul Guardian del 28 giugno. "Un’affermazione che a un civile suona fredda e distaccata. Ma per noi, Halutz era un’autorità morale. Lui prendeva le decisioni etiche, a noi spettava l’esecuzione tecnica”. Come tanti coetanei, la Novak si era ritrovata appena ventenne a dover convivere con un fardello di immani responsabilità morali. Come non provare un senso di colpa per quella carneficina? L’Idf aveva provato a difendere la legittimità dell’operazione, ma l’opinione pubblica aveva reagito con orrore all’assassinio deliberato di piccoli innocenti. Infine l’Idf si era anche scusata, riconoscendo l’errore. "Ero assolutamente convinta che l’esercito avesse un fondamento morale e che quello fosse stato un incidente isolato”. Oggi che l’eccezione e l’errore sono diventati la norma, prosegue Novak, è sparita l’indignazione. "In quest’ultima operazione abbiamo già sganciato cento bombe da una tonnellata sulle case di Gaza, ma adesso nessuno, nell’esercito, sente più il bisogno di chiedere scusa”. (theguardian.com)

18 agosto. Latrine
In Cisgiordania la popolazione palestinese è sottoposta al regime militare israeliano e secondo il Diritto umanitario internazionale l’occupante ha il dovere e la responsabilità di tutelare i diritti della popolazione occupata, ivi compresi quello alla salute e all’acqua. A giugno l’Amministrazione civile israeliana, assieme alla polizia e ad alcuni soldati, si è presentata nel villaggio di Al Ganoub, paesino di 18 famiglie palestinesi in un’area desertica vicino a Betlemme per requisire tre camion, dieci latrine e otto cisterne d’acqua. Già la scorsa estate, Haaretz aveva raccontato come avessero requisito una toilette trasportabile utilizzata da una persona handicappata nel villaggio beduino di Um al-Kheir vicino a Hebron. Il reato era quello di aver spostato strutture mobili senza permesso. Gli abitanti avevano fatto notare che la toilette non era stata "spostata”, ma allestita direttamente in loco. Inutile. (haaretz.com)

18 agosto. Cordone sanitario
Contro l’epidemia di Ebola, che ha colto i governi dei paesi interessati totalmente alla sprovvista, s’è pensato di ricorrere al vecchio "cordone sanitario”: si recinta la zona infetta e non si lascia più uscire nessuno. Tale sistema, in uso durante la peste, non era più stato adottato dai tempi della chiusura del confine tra Russia e Polonia per fermare l’epidemia di tifo. Era il 1918. Il problema del "cordone” è che comporta il rischio di lasciar morire la gente che resta al suo interno. Gli abitanti di Sierra Leone e Liberia che sono stati isolati  hanno già confessato ai giornalisti di aver paura di morire di fame, più che di Ebola. (nytimes.com)

22 agosto. Turisti del suicidio
Il numero di stranieri che si reca in Svizzera nelle cliniche del suicidio assistito è raddoppiato negli ultimi anni. I "cosiddetti "turisti del suicido” sono passati dagli 86 del 2009 ai 172 del 2012. Reginald Crew, 74 anni, inglese, affetto da Sla, è stato il primo a rendere pubblico il suo gesto dicendo che per lui era come "togliersi un peso dalle spalle, andare in vacanza”. Quasi metà dei casi sono di persone affette da malattie neurologiche come Sla e Parkinson, seguiti da quelli di cancro. L’età media è 69 anni, ma si va dai 23 ai 97. Il 58,8% sono donne. (theguardian.com)

24 agosto. Amazon e gli editori
Delle schermaglie tra Amazon e vari editori si vociferava da tempo, ma quando, a maggio, il gigante dell’e-commerce ha cominciato a bloccare le ordinazioni dei prossimi titoli Hachette, si è capito che la faccenda si faceva seria. Pare che al cuore del contenzioso ci sia l’ennesima richiesta di abbassare i prezzi da parte di Amazon. Bezos ha deciso che il prezzo giusto per un ebook non deve superare i 9,99 dollari. Ne ha parlato anche Forbes spiegando che dietro c’è un mero calcolo economico e una regola: se costa meno, la gente ne compra di più. Per ogni copia venduta a 14.99 dollari si vendono 1,74 copie a 9,99 dollari. Ora, con 100 copie a 14,99 dollari si fanno 1499 dollari; con 170 copie a 9,99 si arriva a 1738 dollari. Non fa una piega. Tutti si stanno chiedendo dove andrà il libro. Intanto la crescita del fenomeno dell’autopubblicazione spaventa molti. D’altra parte, la prospettiva di potersi tenere il 70% dei ricavi alletta molti aspiranti scrittori che quindi bypassano completamente gli editori. Non a caso, Amazon, spiegando che dei 9,99 si tiene il 30%, ha approfittato per consigliare che quel 70% rimanente le case editrici dovrebbero spartirlo più generosamente con gli autori. (mashable.com)

25 agosto. Lo stato islamico e le maestre
Lo scorso mese, l’Isis ha convocato le maestre della provincia di Raqqa, nella Siria orientale, spiegando loro le nuove condizioni se avessero voluto continuare a ricevere lo stipendio. Un breve articolo dell’Economist commenta come lo Stato islamico, "tra decapitazioni degli avversari, crocifissione dei furfanti e attacchi americani” trovi il tempo di occuparsi di questioni solo apparentemente banali, come il curriculum scolastico. Le insegnanti dovranno dedicare più ore agli studi islamici, e lasciar perdere filosofia e chimica. Ora che il movimento estremista si vuole fare Stato, o meglio califfato, gli islamisti sono alle prese con cosa voglia dire amministrare. Se infatti i 60 milioni di dollari al mese che arrivano dal petrolio e da altre fonti sono un’enormità per mantenere un esercito, amministrare uno Stato è un’altra faccenda. I precedenti non sono a loro favore: nel 2013 a Raqqa gli estremisti cercarono di prendere possesso del Consiglio locale, ma durò poco perché la furia dei residenti per la totale inefficienza della loro gestione li costrinse a fare marcia indietro. (economist.com)

26 agosto. Guerra di video
Dopo il video sull’uccisione di Foley, nel Regno Unito imam e leader sciiti e sunniti hanno firmato un documento collettivo di rifiuto dello Stato islamico "che non rispetta i principi sanciti nel Corano”, e in cui esortano i giovani musulmani britannici a non cedere alle tentazioni della jihad. Su YouTube sono stati postati molti video di Imamonlines.com, un portale che informa e recluta i futuri leader musulmani, dove non si esita a definire i militanti dell’Isis "terroristi”, "cow-boy”, e si condannano le violenze contro le donne e contro le minoranze, citando esplicitamente cristiani e Yazidi. (liberation.fr)

26 agosto. Vinceranno gli autoritari?
"È difficile difendere e promuovere la democrazia liberale all’estero quando funziona così male a casa”. Così commenta Michael Ignatieff sull’ultimo numero della "New York Review of Books” in un lungo articolo dedicato al destino delle democrazie, che oggi sembrano venir soppiantate da regimi tutt’altro che liberali. Negli anni Trenta i viaggiatori andavano a visitare l’Italia di Mussolini, la Germania di Hitler o la Russia di Stalin e tornavano colpiti dall’efficenza. Oggi i turisti vanno in Cina per prendere il treno proiettile da Pechino a Shanghai, e proprio come nel 1930, tornano constatando che le autocrazie riescono a costruire linee ferroviarie ad alta velocità da un giorno all'altro, mentre da noi possono passare decenni prima di riuscire a cominciare. Ignatieff invita a vedere il recente accordo tra Vladimir Putin e Xi Jinping per quello che è: un’alleanza di stati autoritari che tra l’altro assieme vantano una popolazione complessiva di 1,6 miliardi e occupano uno spazio che va dal confine polacco al Pacifico, dal Circolo Polare Artico alla frontiera afghana. Ovviamente il senso non è che "hanno ragione loro”. Lo stesso Ignatieff infatti non manca di aggiungere: "Il fatto che Singapore e Shanghai siano meglio regolati di Detroit e Los Angeles non è certo una novità. La questione è se il governo autoritario è sostenibile a fronte di richieste da parte della classe media di essere trattati come cittadini, e se tale governo sia in grado di governare shock radicali come un rallentamento economico a lungo termine del tipo attualmente previsto per la Cina”. La discussione è aperta. (nyrb.com)

26 agosto. La causa nella vita
Nicola Chiaromonte diceva che per tutta la vita aveva cercato una causa per cui battersi. L’idea che la vita sia solo economia e problemi materiali, affetti familiari, welfare e diritti, è, malgrado le apparenze, del tutto infondata. Il bisogno di una causa ha radici profonde nell’animo umano. Purtroppo non tutte la cause sono buo­ne. Ci sono anche quelle malvagie che pure trovano alimento dall’insoddisfazione di quel bisogno.

27 agosto. Interlocutori?
È certamente importante fare l’elenco degli errori e delle malefatte di noi occidentali, ma questi, per quanto tragici e pure criminali, per quanto possano essere una delle cause principali dei problemi con cui ci troviamo a misurarci, non ne possono allontanare la gravità e sollevarci dal dovere di prendere una decisione. Il più grave di quegli errori è quello di aver devastato un intero paese, prima con un embargo che ha distrutto il bazar, cioè il ceto medio iracheno, poi con un’invasione del tutto gratuita e avventurista, solo per soddisfare un presidente americano con problemi, i geopolitici cinici ma al fondo razzisti,  e quindi stupidi, che lo circondavano, e degli intellettuali ex-trotzkisti convinti che con la forza si possano raddrizzare le gambe a cani e a uomini. Per Marek Halter, Bush andrebbe trascinato davanti al tribunale internazionale per crimini di guerra. Ma ciò detto? Riconoscere gli errori tragici di Versailles avrebbe cambiato qualcosa rispetto alla comprensione del "che fare” con Hitler? Riconoscere l’altro come interlocutore? Oh, ma fu fatto e i cecoslovacchi ne ricordano ancora qualcosa. Anche sapere chi sono questi combattenti, da dove vengono, come sono stati reclutati, perché sono pronti a partire, a lasciare le nostre libertà metropolitane, per andare a uccidere e forse a morire, ci può certamente aiutare a riflettere sulla nostra vita, a cambiare qualcosa e forse a prevenire la degenerazione di quella di altri. Ciò detto?

28 agosto. Crimini e copertura mediatica
Su Al Arabya, Chris Doyle, direttore di Caabu (Consiglio londinese per la comprensione arabo-inglese), indaga sul perché la decapitazione di James Foley abbia avuto un tale impatto. La rete è piena di decapitazioni e la maggior parte non c’entra né con l’Isis né con Al Qaeda. Non ci sono solo i cartelli della droga messicana che decapitano un rivale con la motosega, anche Boko Haram ha postato più di una esecuzione. Foley, tra l’altro, non era nemmeno il primo americano a subire questa sorte. Questo "primato” appartiene a Daniel Pearl, ucciso da estremisti pakistani nel 2002. Doyle, provocatoriamente, ricorda che all’Isis piace anche crocifiggere "ma devo essermi perso il clamore globale quando nove siriani sono stati crocifissi in Siria nel mese di giugno. Solo uno è sopravvissuto a una maratona di otto ore inchiodato a una croce”. Il fatto è che il prigioniero americano, nel "mercato” della pubblicità e dei social media vale come il platino. Non è una novità che ci sono vittime che valgono di più e vittime che valgono di meno. Qui poi il valore è anche proprio monetario. Secondo un’indagine del "New York Times”, Al Qaeda e i suoi affiliati hanno accumulato 125 milioni di dollari dal pagamento di riscatti, 66 milioni solo nell’ultimo anno, tutti da parte di paesi europei. Intanto, in Siria, il numero dei musulmani uccisi negli ultimi tre anni ha raggiunto quota 190.000. (english.alarabiya.net)