Dedichiamo queste pagine a Francesco Ciafaloni, l’amico e compagno, che ci ha lasciato. In questi giorni ci siamo arrovellati, invano, a cercare di ricordare come era capitato da noi, tantissimi anni fa. Se era stato il suo amico del cuore Luca Baranelli a farcelo conoscere o chi altri. Fatto sta che per vent’anni e più non è mancato mai alle nostre cosiddette riunioni nazionali. Sempre col suo zaino, a piedi dalla stazione, sempre accampato nella casa di uno di noi. Non si poteva parlare di albergo con lui. E da allora, poche volte è mancato il suo intervento sul mensile. 
Non era quasi mai d’accordo con noi politicamente, forse perché eravamo diventati molto critici verso quell’ideologia giovanile causa di tante occasioni mancate e, anche, di tante tragedie; ideologie e illusioni da cui lui, da saggio sociologo, era riuscito a star lontano. Ma temeva che in un certo senso, in questa furia autocritica, rischiassimo di “passare dall’altra parte”. Si potrebbe dire che ci tenesse a bada, come un fratello maggiore animato da un grande affetto. Sì, ci è servito anche a questo, al restare ancorati sempre e comunque ai lavoratori e al rispetto dei loro sindacati. A restare, comunque, “compagni”.
Poi all’improvviso, dopo un ricovero in ospedale per un intervento, è successo qualcosa. Non scriveva più e al telefono rispondeva che sì, stava leggendo e forse ci avrebbe mandato qualcosa per il prossimo numero. Ma poi il silenzio. 
Tempo prima ci aveva mandato uno scritto anche personale, intitolato “La vecchiaia”, intimandoci, con un successivo messaggio, di tenerlo per noi. Abbiamo poi saputo che ne aveva mandato un altro, intitolato “Timor mortis”, a Luca. Oggi ci fa pensare a una specie di testamento, e oggi, purtroppo, possiamo pubblicarlo. 
Addio Francesco.