Cari amici,
in un primo momento avevo pensato di non rispondere alle lettere che commentano l’intervista “Valori contro diritti”, pubblicata sul numero 154 di “Una Città”.
Sia questa che quelle “parlano chiaro”, esponendo gli autori anche sul piano personale. Mi sembrava dunque che i lettori fossero in grado di valutare affermazioni e argomentazioni di ciascuno, lasciando perdere le etichettature che sono fatte apposta per non confondersi e che rappresentano per tutti -me compreso- una ricerca inconscia di semplificazione e di rassicurazione.
Poi mi son detto: ma a me non importava tanto che si prendesse posizione a favore o contro posizioni tra loro contrapposte e destinate a rimanere inconciliabili, quanto piuttosto l’impegno al confronto, che scaturisce dal tentativo di comprendere le ragioni dell’altro. Sono infatti convinto che il vero credente, o chi lo è stato, o chi sta compiendo il percorso per diventarlo, siano le persone maggiormente predisposte ad approfondire il tema della laicità, per il semplice e fondamentale motivo che -in quanto cittadini- vivono personalmente -e spesso dolorosamente- l’intimo conflitto che solo il riferimento alla laicità e la sua pratica hanno la possibilità di comporre.
Il conflitto consiste nel fatto che uno stesso individuo è contemporaneamente soggetto a due diversi statuti, quello dello Stato in quanto cittadino e quello della Chiesa in quanto credente; che i due statuti si occupano spesso (e sempre di più) delle stesse materie (la persona, la vita, la morte, la famiglia…); che spesso, rispetto alla medesima materia, hanno visioni e dettano principi radicalmente diversi; che infine, e soprattutto, sono radicalmente diverse l’impostazione e la strategia dei due statuti, l’uno condizionato dalla relatività delle scelte politiche, l’altro impegnato nella difesa e diffusione di verità assolute.
L’intima tensione conflittuale vissuta da quell’individuo consiste nel fatto che, ciò nonostante, egli vorrebbe essere fedele e leale nei confronti dell’uno quanto dell’altro statuto; che, partecipando della comunità statale, vorrebbe non solo vivere il rapporto di fratellanza con gli altri “cittadini” che condividono la sua fede, ma anche coltivare rapporti di solidarietà e di reciproco rispetto nei confronti di quelli che ne hanno una diversa, o che non ne hanno alcuna.
Bisogna peraltro guardarsi dagli equivoci: gli “atei devoti”, ad esempio, non hanno certo composto questo conflitto, ma vi si sono soltanto sottratti. Per loro, l’adesione a certi valori della religione cattolica non comporta alcun problema di lealtà o di obbedienza nei confronti di essa, ma solo l’appiattimento strumentale su una serie di valori “forti” che, a loro avviso, l’ordinamento statale non è in grado di affermare e di fare rispettare.
Proprio perché non vivono quel conflitto, essi hanno ben poco da dire a proposito di laicità, così come non era possibile neppure concepire il significato allorché il sovrano era qualche sacerdote supremo o il Papa era il primo tra i sovrani terreni. E analoga, in certa misura, è la condizione dei credenti “tiepidi” di cui parla Ilvo Diamanti.
Dove conflitto c’è, è il concetto di laicità che deve cercare di comporlo, individuando il confine che distingue la sfera dello Stato da quella della Chiesa, e specificando la posizione del soggetto nei confronti dell’uno e dell’altra. Per questo si dice che la laicità è un metodo, uno stile prima ancora che un insieme di contenuti.
Ed è un metodo che, se correttamente individuato e praticato, vale in egual misura per tutti i comportamenti della comunità statale -siano essi cattolici, aderenti ad altra religione o non credenti- consentendo a ciascun di loro di sentirsi in pari misura partecipe di quella comunità.
Per questo mi stupisco quando, per giustificare il comportamento ritenuto troppo “clericale” di qualche personaggio politico, sento tirare in ballo la recente conversione al cattolicesimo. A me è capitato di “compiere” il percorso inverso (anche io, a questo punto, mi espongo di persona) e posso affermare che esso non ha modificato in alcuna misura il mio modo di intendere e di “pontificare la laicità”.
Proprio perché si tratta di conflitto (che presuppone una relazione) e delle distinzioni preordinate a comporlo, ho parlato, nell’intervista, della Chiesa solo nel suo rapporto con lo Stato italiano e di questo solo nel suo rapporto con la prima; attribuendo la responsabilità della situazione at ...[continua]

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