Cari amici, 
non so quanto seguiate le relazioni estere della Cina. In queste settimane di fine 2018, Pechino sta portando avanti una battaglia rabbiosa con il Canada, colpevole di aver rispettato un trattato di estradizione con gli Usa, e aver arrestato la direttrice finanziaria della Huawei. Si tratta dell’azienda di telefonia mobile che molti (tranne l’Italia, non so davvero perché) temono per i suoi stretti legami con il governo cinese e l’esercito, e per il fatto che, dovunque operi, sottostà alle leggi cinesi che prevedono che debba fornire informazioni sui suoi utenti se il governo cinese decide che sia necessario. Prima che qualcuno dica che anche la Apple, o che anche Microsoft, Facebook, o chi altri, lasciate che vi fermi: no, non è la stessa cosa. Huawei è un’azienda che proviene da un Paese senza stampa libera, senza una magistratura indipendente e senza un governo rappresentativo: per quanto possano apparirci insufficienti le nostre garanzie, o per quanto possano non piacerci i metodi americani, non è la stessa cosa. Il caso dell’arresto ha provocato l’ennesimo furore nazionalista, con il limitato web cinese che chiama al boicottaggio di marche canadesi e la Cina che arresta persone con passaporto canadese - due, mentre vi scrivo; entrambe sono per ora solo scomparse, anche se le autorità cinesi hanno confermato di averle fermate. Nel frattempo, l’imprevedibilità di Trump fa sì che la guerra commerciale con gli Usa segua un percorso altalenante e ricco di sorprese, mentre le relazioni con Paesi quali l’Australia e il Giappone lasciano la sensazione che una Cina sempre più autoritaria voglia imporre il suo modo di vedere il mondo anche all’estero -anche tramite un tentativo di controllo dei media fuori dalla Cina, sia quelli in lingua cinese che gli altri. 
Tuttavia, più passa il tempo, più mi rendo conto che il punto veramente cruciale di tutto questo è quanto filtrate siano le informazioni che circolano in Cina, e per informazioni intendo non solo le notizie, ma davvero tutto. Vi faccio un esempio: una mia amica che lavora nell’editoria mi racconta che, dato che negli ultimi anni la censura si è molto rafforzata, cerca di lavorare soprattutto con le traduzioni. La sua idea è che, parlando di questioni non cinesi, si possa, forse, riuscire a pubblicare materiale un po’ più profondo, un po’ più critico, e che i lettori più accorti possano utilizzare queste traduzioni per fare dei paralleli con la Cina, o per mantenere comunque la mente un po’ più aperta. Un discorso condivisibile, e che è stato del resto sperimentato anche in altri Paesi a forte regime di censura. 
"Però”, mi dice, "tutto quello che potrebbe essere facile oggi non lo è. Non faccio grosse tirature, per cui anche quello che posso pagare per le traduzioni è piuttosto modesto. E per motivi di sicurezza, preferirei farlo tramite un sistema di pagamento elettronico, possibilmente non cinese. Ma non è possibile: puoi utilizzare solo Alipay. E se vuoi trasferire somme di denaro a un conto privato cinese, devi farlo tramite un conto in una banca cinese. È incredibile: nessuno se ne vuole rendere conto, ma Alipay, Unionpay (la carta di credito cinese; Visa, Mastercard e American Express sono state inibite dall’operare in Cina fino alla piena messa in funzione di Unionpay) e tutte le app cinesi hanno costruito la nuova Grande Muraglia. Sai che nei piccoli alberghi, in provincia, non si può pagare con una carta di credito internazionale? Solo Unionpay o, meglio ancora, Alipay!”. Dentro questa nuova Grande Muraglia, come dice lei, ci sono i cinesi che non risentono troppo della situazione, dal momento che il metodo è piuttosto efficace, a volte anche estremamente efficace. Quelli che sono al di fuori della nuova Grande Muraglia, invece, se vogliono potersi muovere in modo normale in Cina devono accettare di sottostare a tutti i controlli a cui sono sottoposti i cinesi, impossibilitati ad uscire dal sistema.
"Quel che è peggio,” continua la mia amica, con un sorriso cinico che le avevo visto di rado, "è che nessuno si lamenta! Perché è così comodo, è cosi pratico comprare tutto con lo stesso gesto, semplicemente facendo passare il telefonino davanti al monitor del supermercato, della stazione, della metropolitana, della banca! Ma come fanno a non preocuparsi per le loro informazioni personali? Davvero non gliene importa niente a nessuno? Ho chiesto ai miei traduttori se potevo pagarli in contanti, dato che parliamo di cifre modeste… mi sono sentita un dinosauro!”.
Io stessa, ormai, in Cina mi comporto come un dinosauro. Non so quanto resisterò, ma per ora continuo a voler pagare in contanti nei ristoranti e nei negozi, e se non li accettano vado altrove. È la solita questione: non ho nulla da nascondere, ma non per questo sono disposta a dare tutti i miei dati a non so chi, affinché li utilizzi non so come. Gli esempi che abbiamo sotto gli occhi di utilizzi impropri sono già fin troppi. Così preferisco restare fuori da questa nuova Grande Muraglia.