Dal 1995 al 2015 i nativi italiani in età lavorativa sono diminuiti di circa 3 milioni e diminuiranno di ulteriori 2,5 milioni al 2030 e 8 milioni al 2050, ovvero il 20% per cento dell’attuale forza lavoro. L’invecchiamento e la riduzione della popolazione rappresentano un freno importante per la crescita futura dell’economia. Senza un contributo rilevante dall’immigrazione, il welfare (sanità e pensioni) potrà mantenersi in equilibrio solo con manovre aggressive di riduzione delle prestazioni e/o un drastico innalzamento dell’età per la pensione (come ad esempio in Giappone). Inoltre, il calo del Pil conseguente a quello della popolazione renderebbe ancora più problematica di oggi la tenuta del nostro debito pubblico.

L’immigrazione suscita molte preoccupazioni, enfatizzate dai media ma in larga parte non basate sui fatti.
Non è vero che i rifugiati pretendono un livello di assistenza inaccettabile, destabilizzano intere comunità e nascondono terroristi.
L’Italia è uno dei paesi che ne ospita meno in Europa e la crescita degli arrivi degli ultimi anni si è riflessa solo in misura ridotta nella crescita di chi rimane (meno di 200 mila persone), segno che l’Italia è in buona parte un paese di transito. La gestione del fenomeno "barconi” costa, ma in gran parte sono soldi che rientrano nel circolo economico e contribuiscono al Pil. Non ci sono a oggi prove che da questi flussi transitino terroristi, che semmai si radicalizzano in un secondo tempo e quindi sono figli di problemi d’integrazione.
Non è vero che gli immigrati sono già troppi.
In Italia sono presenti in misura minore rispetto agli altri grandi paesi europei, circa 5 milioni, ovvero meno del 10% della popolazione. Certamente sono una presenza importante in alcune aree, in particolare nelle grandi città; ma solo Milano ha tassi di presenza intorno al 20%, in linea con le principali città europee.
Non è vero che tolgono lavoro agli italiani.
È la natura del lavoro che cambia, con le occupazioni intermedie che si stanno contraendo in tutti i paesi (-10% tra il 1993 e il 2010 in Italia) a favore di profili a maggiori competenze e di occupazioni poco qualificate e poco remunerate. La competizione tra immigrati e italiani riguarda solo il 15% di lavori poco attrattivi. Inoltre, per molti lavori, anche socialmente molto utili, colmano lacune dove non esiste un’offerta adeguata d’italiani (es. assistenza agli anziani, su cui si stima un fabbisogno in crescita del 25% nei prossimi quindici anni).
Non è vero che non contribuiscono alla crescita economica e utilizzano servizi pubblici e di assistenza che sono già carenti per gli italiani.
Gli immigrati lavorano più degli italiani (anche se hanno subito l’impatto della crisi in misura maggiore), gestiscono imprese (oltre 500 mila imprese non individuali) e hanno un impatto positivo di più di 3 miliardi all’anno sui conti pubblici. Sono una popolazione giovane che richiede meno servizi rispetto a quella italiana, in media più anziana, e già oggi contribuisce a pagare le pensioni agli italiani.
È vero che arrivano persone poco istruite ma non che mettono in pericolo la nostra cultura.
In Italia solo il 10% sono laureati contro il 33% in Europa. E alcune proiezioni di lungo termine proiettano presenze di immigrati superiori al 35%, con una quota rilevante di musulmani. Indubbiamente integrare comunità poco "permeabili” non è facile all’inizio, ma con una corretta integrazione anche culture diverse si assimilano in una o due generazioni, come è successo ad esempio per gli italiani in America.
È vero che delinquono ma il fenomeno è fortemente concentrato sugli irregolari.
Gli immigrati hanno tassi di delittuosità tre volte superiori agli Italiani in molti reati "visibili” (es. furti, rapine, droga). Tuttavia, il numero dei delitti di ogni tipo è in continuo calo dal 2013. E va affrontato il problema degli irregolari, vista l’elevatissima concentrazione dei reati commessi da loro: sono circa 400 mila (meno del 10% degli immigrati) ma, a seconda del tipo di reato, commettono tra il 60% e il 90% dei reati commessi dagli stranieri.

Occorre accettare la sfida e cambiare radicalmente approccio.
è sacrosanto interrompere il traffico di esseri umani dalla Libia e pretendere l’aiuto dell’Europa, ma molte proposte di soluzione che vanno per la maggiore non sono risolutive. Due direttrici di intervento prioritarie:
1) Gestire l’integrazione dei flussi di rifugiati per ridurre ...[continua]

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