Gli ultimi libri di Luciano Gallino, L’impresa irresponsabile, L’Italia in frantumi, Il lavoro non è una merce, Con i soldi degli altri, Finanzcapitalismo, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Il colpo di Stato di banche e governi. La crisi spiegata ai nipoti, rappresentano forse, nel loro complesso, la più importante analisi critica della società e proposta politica, nella tradizione liberale e socialista, apparsa in italiano. Anche i titoli fanno implicitamente riferimento a quella tradizione, perché ricordano autori o tesi emblematiche, da Brandeis, a Hilferding, al Bit.
Il numero doppio di "Quaderni di sociologia”, diretti da Gallino fino alla morte, pubblicato in memoria, che raccoglie suoi scritti dagli anni Settanta ai primi anni del nuovo secolo, è la premessa epistemologica e morale della sua analisi critica e della sua proposta politica. Anche chi abbia seguito con continuità il lavoro di Gallino resta in qualche misura sorpreso dalla vastità e dal puntiglio della riflessione critica che i suoi collaboratori diretti hanno riportato in primo piano. Personalmente sono rimasto colpito dalla sua angoscia per il fallimento nel capire il mondo della disciplina di cui è stato in Italia un esponente importante e dalla vastità dei temi e radicalità delle tesi. I suoi lavori successivi sembrano il tentativo di placare quell’angoscia, di dare risposte ai problemi generali che ci aggrediscono socialmente e personalmente, di trovare un punto fermo, una coerenza, un’ottica di sistema; di assumere pienamente la responsabilità scientifica, politica, etica, delle proprie scelte. Il rivolgersi ai nipoti forse non è stato solo un espediente di mercato, ma anche il rimettere insieme personale e politico, etica e conoscenza, come si diceva mezzo secolo fa.
Nel 1992, in Il progetto moderno tra cultura industriale e religione, Gallino scriveva: "Dai suoi difensori non meno che dai suoi critici l’idea di modernità è stata irrigidita in un calco [...] in un’istantanea, oppure in un momento di sonno, come se già fossero fattezze mortuarie. Troppo a lungo, sin dalla fine della Seconda guerra mondiale, i teorici della modernizzazione hanno descritto la modernità come un punto d’arrivo che via via riproponeva in fotocopia alle società più diverse l’immagine stereotipa dell’unico vero vincitore della guerra, cioè la società americana; nella quale peraltro la ricerca sociale, la letteratura, il cinema, l’hanno mandata in frantumi da oltre trent’anni. Sull’altro versante, con troppa sicurezza e non poca disinvoltura storica, i cultori del postmodernismo hanno identificato la modernità con l’industrializzazione, la razionalizzazione dell’agire sociale in tutte le sue forme, la globalizzazione del mondo, il dominio di una scienza dogmatica, la scomparsa della tradizione, la fine delle comunità locali”.
In Etica cognitiva e sociologia del possibile del 2002: "Non c’è dubbio che la sociologia, che ha visto molti di noi come operatori attivi, abbia contribuito positivamente alla conoscenza della società contemporanea. Al tempo stesso dobbiamo riconoscere che la nostra disciplina sembra aver fallito nel prevedere alcuni dei maggiori fenomeni del nostro tempo.
Le scienze sociologiche hanno prestato limitata attenzione al prepotente ritorno nella seconda metà del 900 sulla scena mondiale delle etnie, dei gruppi etnici, delle nazioni. [...] Il maggior problema del nostro tempo sono le diseguaglianze a livello mondiale. Ci sono popolazioni che hanno a disposizione 250.000 calorie al giorno per soddisfare tutte le loro esigenze: produrre, mantenere un’abitazione, spostarsi, alimentarsi, mandare i figli a scuola e ci sono popolazioni pari a più di un miliardo di persone che dispongono di 1000 calorie al giorno, 250 volte di meno, in media”.
In Sociologia e teoria critica della società (2002): "O la sociologia è una scienza complessiva della società, nel suo reale movimento storico, o non è (sottolineatura dell’autore). [...]
Riportare alla memoria l’opera dei classici se da un lato sostiene il nostro intento di recuperare alla nostra epoca l’opzione della sociologia come scienza della società, dall’altro ci fa anche riconoscere i confini presso i quali il loro sostegno si arresta. Occorre infatti ammettere che le teorie dell’evoluzione sociale costruite da Comte, Spencer, Durkheim, non reggono ad un serio scrutinio sul terreno storiografico. Mentre le teorie sistemiche di Pareto, Parsons e Luhman sfidano sì il ...[continua]

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