Cari amici,
questa è una primavera incerta, seguita a un inverno mite e breve che, privo di qualsivoglia vigore invernale -in altre parole, un gelo intenso e breve- ha sconvolto le fasi dei tulipani. La loro comparsa è stata timida, ma alla fine sono riusciti a emergere dal terreno in tutta la loro bellezza. Sono leggermente in ritardo, ma lo spettacolo vale l’attesa. Un po’ come il referendum sull’uscita dall’Europa: aspettiamo che dal campo dei "No” emerga della passione, ma la campagna e i dibattiti rimangono lenti e piatti. È strano. Il voto del 23 giugno dovrebbe tenerci tutti in ostaggio: rimanere nell’Ue o staccarci con una violenta estirpazione di radici? Ma il dibattito ruota sulla distribuzione di opuscoli e lettere piuttosto che sui veri problemi alla base. È come svegliarsi dal sonno chiedendosi: come siamo finiti qui? E l’improvvisa carenza di un sentimento europeista e della conoscenza dell’Ue, cosa provoca? Perché si è formata? Cosa ci ha fruttato in tutti questi anni?
Per coloro che ci vorrebbero uniti, questa profonda carenza di comprensione è spaventosa. Come un grosso volume di ricette impopolari, l’Ue è stata lasciata inutilizzata e intonsa su una mensola, e d’un tratto dobbiamo usare quel libro per cucinare, ma non conosciamo gli ingredienti, e alla fine scopriamo che ci ha fornito i pasti ogni giorno dal 1973.
A dire il vero un problema che viene sfruttato nel dibattito dentro/fuori esiste: l’immigrazione... e la crisi dei rifugiati. È una partita emotiva, tradizionalmente giocata su terreni di destra e centro-destra, ma è anche l’uragano che sferza i campi dei liberali. Si tratta del più grosso cruccio di molti di coloro che normalmente e senza indugio offrirebbero una tazza di tè a chi si avvicinasse al loro portone di ingresso: sono loro a essere preoccupati per i posti di lavoro, a vedere gli "immigrati” come usurpatori di spazi, che si tratti di posti di lavoro o di posti letto dell’Nhs o di iscrizioni scolastiche o di alloggi. Bisogna parlarne, e prendere in considerazione la loro opinione. Si sentono come nel torto, messi ai margini e scacciati, estranei a casa propria. Per i fautori del "No”, trascurare le loro ansie è un rischio. Gli inglesi si considerano ospitali e generosi di natura, ma a causa del sovraccarico di immagini di rifugiati, del lessico dei profughi, ibrido e degradato, della facilità con cui la Brexit ha instillato timori in materia di sicurezza e sentimento di perdita dei valori sociali in tempi di crisi, il tutto alimentato dall’invisibilità dei benefici offertici dall’Europa, il testa a testa tra chi vuole restare e chi vuole uscire sta diventando preoccupante.
Molti di coloro che sono propensi al "Sì” sono completamente inaspettati. Sono rimasta di stucco nel sorprendere amici che normalmente votano per i Verdi e si considerano "illuminati” e politicamente informati, intenti a registrarsi per votare l’uscita con motivazioni pericolosamente semplicistiche. Dal punto di vista economico, l’Europa non ci sta aiutando, quindi dobbiamo fare qualcosa: usciamo. Per loro, l’uragano è l’Ue: spazza via le risorse economiche inglesi senza ricordare i motivi per cui nel 1973 ci siamo uniti al Mercato comune o gli ideali che ci hanno portati a farlo.
Mi chiedo come si comporterebbe oggi Robin Hood. La foresta di Sherwood si è sicuramente rimpicciolita rispetto agli oltre 400 km quadrati su cui si estendeva ai suoi tempi. Quella foresta era il terreno di caccia dei sovrani di allora, con leggi ferree a protezione dei cervi e del legname contenuti al suo interno. Un po’ come oggi, a quanto pare; questi giorni di profonda ingiustizia terrebbero il vecchio campione del popolo molto occupato. Nel 1979, la Gran Bretagna era una delle società più eque dell’Europa occidentale. Oggi è la più iniqua. Non ci è voluto poi tanto: nell’ultimo trentennio il coefficiente Gini, che misura i livelli di disuguaglianza all’interno di una società, è cresciuto da 25 a 40. Londra è una delle città con il più alto tasso di disuguaglianza della Terra. Robin Hood avrebbe l’imbarazzo della scelta, con tutte le società fiduciarie offshore e di facciata che se la spassano allegramente dove la vista della gente non arriva. Avrebbe una scelta infinita di bersagli. È deprimente scoprire che vi sono soltanto 700 esperti fiscali a tenere d’occhio i 500.000 più ricchi fra noi quando sono 3.700 quelli che scavano nelle frodi in materia di sovvenzioni. Fa tanto sceriffo di Nottingham. ...[continua]

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