7 gennaio 2012. Bitcoin
Sul numero di gennaio de "Le Scienze”, Morgen Peck dedica un breve articolo alla prima moneta digitale, anonima e senza intermediari. Le modalità di pagamento online tradizionali, per funzionare, necessitano come minimo dei nostri dati anagrafici, fiscali e bancari, e poi viene trattenuta una commissione. I bitcoin invece sono bit, linee di codice, che passano da un utente all’altro attraverso un network peer-to-peer, autonomo dai vari mediatori finanziari e protetto da una ferrea crtittografia fondata sul sistema della coppia chiave, una pubblica e una privata. Il primo acquisto effettuato, racconta Peck, "è stata una pizza venduta per 10.000 Bitcoin a inizio 2010”. In questi due anni il cambio col Dollaro è andato su e giù. Molti commercianti online ancora non la accettano, ma i suoi entusiasti fan non si scoraggiano. (Le Scienze)

13 gennaio 2012. I gay si stanno spostando a destra?
Per Didier Lestrade, fondatore d’Act Up e autore di Pourquoi les gays sont passés à droite la risposta è chiara: una generazione più individualista e meno militante ha portato alla "droitisation” degli omosessuali. Come spiega a Charlotte Rotman, autrice di un breve articolo su "Libération”, si tratta di un cambiamento senza precedenti che trova origine anche nella "strumentalizzazione della causa Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) contro altre minoranze. I gay contro gli arabi e i neri. È la prima volta che questo succede nella storia gay”. Lestrade vede anche emergere un "omonazionalismo”.
Peggio. Nel mondo omosessuale si è fatto strada il razzismo. Didier Lestrade, 53 anni, è una figura articolata, critico musicale, scrittore, sieropositivo, una sorta di "guida spirituale”, si era già inimicato una parte della comunità omosessuale quando aveva preso posizione contro chi non usa il preservativo.
L’oggetto di questo suo saggio è però la comparsa di una nuova forma di estrema destra, che è riuscita nell’improbabile tentativo di essere "al contempo xenofoba e pro-gay”. Basti ricordare Pim Fortuyn, "neopopulista” e omosessuale. Anche Marine Le Pen sta giocando sulle stesse corde; sta "dragando” i gay, attirandoli sul terreno della critica all’Islam. A Lione a dicembre 2012, la Le Pen ha fatto un discorso emblematico di questa tendenza: "Ascolto sempre più racconti sul fatto che in certi quartieri, non va bene essere né donne, né gay, né ebrei e nemmeno francesi o comunque bianchi”. E così si chiude un nuovo e inedito cerchio, che include tutti tranne uno. Ovviamente gay di destra ce ne sono sempre stati. Ma secondo Didier qui sta succedendo qualcosa di più grave, cioè l’abbandono di un’idea comunitaria associata al rifiuto categorico del "coming out”, così dimenticando che proprio l’affermazione di sé in quanto omosessuale è stato il motore di tante battaglie. (liberation.fr)

14 gennaio 2012. Algos
Red Bank, nel New Jersey, cittadina di poco più di diecimila abitanti, nel giro di pochi anni è cambiata radicalmente con l’arrivo di un centinaio di società di investimento, perlopiù americane, e il loro "indotto” fatto di matematici, perlopiù russi e indiani, e studi legali, ma anche ristoranti, luoghi di ritrovo, negozi, ecc.
Le società sono dedite all’Htf, High Frequency Trading. In pratica scambiano titoli con transazioni rapidissime rese possibile da algoritmi elaborati dai computer. Pare che, a partire dal 2010, il 70% del volume degli scambi negli Stati Uniti sia stato di questo tipo. La durata media del possesso di un titolo è stimata in meno di dieci secondi.
Ma perché a Red Bank? Perché lì vicino, in New Jersey sono state collocate le ‘Server Farms’ che gestiscono il traffico delle maggiori Borse. Per minimizzare il tempo di transito del flusso di dati elaborati dagli ‘Algoritmi’ (in gergo Algos) gli investitori hanno allora spostato i loro terminali vicino ai server che elaborano i dati. Oltre a Red Bank, altri centri simili, meno famosi, ma di fatto tutti componenti di una ‘Wall Street ombra’, si trovano a Kansas City, in Texas e a Chicago. I veri protagonisti di questa rivoluzione dei mercati finanziari sono gli ‘Algos’, creati da matematici e informatici usando nozioni di psicologia comportamentale, modelli del caos, "fuzzy logic”, reti neuronali, ecc. Qualcosa di molto vicino all’intelligenza artificiale. L’articolo di Technology Review che ne parla cita anche applicazioni "leggermente inquietanti”, come la possibilità di includere nell’analisi il contenuto semantico dello scambio di milioni di messaggi sui ‘social networks’.
(Technology Review)

24 gennaio 2012. Wikipedia
L’operatore telefonico Orange, 70 milioni di clienti tra Africa e Medio Oriente, ha da poco stipulato un accordo con Wikipedia grazie al quale i contenuti dell’enciclopedia digitale verranno resi accessibili gratuitamente. Dei 70 milioni di utenti Orange infatti solo 10 milioni hanno telefonini tecnicamente adeguati ad accedere a questo come ad altri siti. La nuova partnership permetterà di bypassare gli ostacoli tecnologici ed economici e di rendere fruibile Wikipedia a tutti. (guardian.co.uk)

24 gennaio 2012. Bob e Dotty
Bob DeMarco, 61 anni, una carriera come speculatore di derivati e altri prodotti finanziari, da qualche anno ha lasciato tutto per dedicarsi alla madre Dotty, 96 anni, affetta da Alzheimer.
Bob sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe lasciato tutto per occuparsi della madre. Era una decisione che aveva preso già anni prima. Dopo i primi segnali di malattia e il suo divorzio, ha capito che quel momento era arrivato.
Bob non si è affidato ai libri, ma all’osservazione meticolosa di ciò che faceva stare bene e rendeva felice la madre. Da questo approccio è venuta la prima e radicale considerazione: "Qualcosa doveva cambiare e quel qualcosa ero io”. Nel corso degli anni, trascorrendo ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette accanto alla madre, Bob ha così scoperto che lo stato emotivo di Dotty, ma anche le sue condizioni di salute, miglioravano se aumentava il tempo trascorso alla luce del sole, fuori, o accanto alla finestra della cucina e poi con un po’ di esercizio fisico; tenendo sotto controllo i parametri vitali, alimentazione, infezioni urinarie o polmonari; il tutto per evitare ospedalizzazioni; e infine tanti stimoli. La giornata di Dotty comincia con il figlio che le fa notare, attraverso i quotidiani, la data del giorno; seguono discussioni sugli eventi mondiali (più monologhi che dialoghi, ammette Bob); parole crociate individuando quelle di tre lettere; e poi musica, film, qualche escursione. L’idea più creativa è stata però l’acquisto di due pappagalli di peluche che vanno a batterie: Harvey e Pete, che parlano tutto il giorno ricordando a Dotty di bere il suo succo e cantando assieme a lei vecchie canzoni. A un certo punto Bob ha deciso di aprire un blog su Dotty, seguitissimo (tanto che qualcuno gli ha già proposto di acquistarlo). È un blog molto semplice, senza editori o designer (Bob è laureato in Economia e Risk management), in cui si parla di ricerche e medicine, ma anche di problemi quotidiani legati all’igiene o all’alimentazione. Non si aspettava un tale riscontro: oggi trascorre circa cinque ore al giorno sul blog e nella corrispondenza via mail con i suoi lettori. Certo la sua per molti può difficilmente definirsi "vita”. Bob non ha amici, non esce mai per andare a cena o al cinema, se non con la madre. Sì, occasionalmente pensa al giorno in cui tutto questo finirà, ma non desidera niente di più o di diverso da quello che ha oggi. Se tornasse indietro, lo rifarebbe ancora e ancora. Non ha rimpianti. (nytimes.com)

25 gennaio 2012. Vecchiaia
"Sapete, qui non abbiamo mai persone che arrivano dicendo: ‘Voglio venire da voi’”, si lascia sfuggire il giovane direttore di un’Ehpad (residenza per anziani) nei pressi di Parigi. Così comincia una breve inchiesta di Eric Favereau per "Libération”, su dove sia preferibile invecchiare e, soprattutto, su chi decida il luogo dove trascorreremo i nostri ultimi giorni. Se oggi infatti l’80% resta a casa, degli altri poco si sa: hanno scelto, chi ha deciso? Con o senza il loro accordo? Le storie sono quelle che conosciamo. Favereau racconta quella della figlia di un anziano di origine polacca che, dopo la morte della madre, si è vista costretta a far ricoverare il padre. Lui non voleva essere aiutato se non dalla figlia, dopodiché però la chiamava fino a trenta volte al giorno, ed era sempre arrabbiato. Alla fine lei, prima di cadere in depressione, gli ha detto: "Tu non puoi più restare da solo, ti trovo una casa”. E lui: "Fai come vuoi”. Ora la figlia lo trova un po’ triste quando va a trovarlo, ma almeno riesce a comunicare con lui. Un recente studio condotto dal dottor Dominique Somme, geriatra all’ospedale Europeo Georges-Pompidou, ha riscontrato che su 4000 ospiti nelle residenze protette, solo il 16% ha confermato che quella è stata una propria decisione. A decidere è perlopiù la famiglia o il medico. La questione del consenso è tanto delicata quanto imprescindibile e il dibattito è all’ordine del giorno. D’altra parte in molti casi è difficile vedere un’altra opzione. A volte si tratta anche di salvaguardare la salute del partner o del familiare. Il marito di un’anziana signora di 88 anni a cui era stato diagnosticato l’Alzheimer, ci ha provato a curarla da solo, ma alla fine non ce la faceva più. A un certo punto le ha detto che doveva ricoverarla temporaneamente mentre lui si faceva operare a un ginocchio. Ancora oggi pensa alla "grande menzogna” con cui l’ha convinta a entrare in un ospizio, ma non si sente colpevole, solo triste. (liberation.fr)

26 gennaio 2012. Memoria per legge?
Il 23 gennaio il senato francese ha approvato una legge che punisce con il carcere chi nega il genocidio degli armeni del 1915. Il provvedimento ha scatenato un aspro dibattito tra favorevoli e contrari. Non c’è però solo la posizione filoturca tra i contrari. C’è anche chi crede che la legge non sia lo strumento giusto per contrastare il negazionismo. Che la battaglia sia cioè inevitabilmente culturale.
Già Hrant Dink, il giornalista turco di origine armena assassinato nel gennaio del 2007 da un nazionalista, si era espresso contro "la memoria per legge”. In un’intervista a "L’Express”, nell’ottobre del 2006, a pochi mesi dalla morte, aveva esposto chiaramente la propria posizione. Alla domanda su cosa pensasse di una legge che puniva i negazionisti (già allora in discussione) rispondeva: "Mi oppongo in nome del principio della libertà d’espressione, un diritto universale che non può essere sacrificato in nome dello slogan ‘mai più un genocidio’”. Più pragmaticamente Dink vedeva anche degli inconvenienti per gli stessi armeni che, secondo lui, con una legge del genere, si sarebbero tirati la zappa sui piedi, perché la Turchia a quel punto rischiava di assumere il ruolo della vittima, vedendosi negata appunto la libertà d’espressione. I negazionisti, continuava Dink, non vanno portati davanti a un tribunale. E poi c’è un’altra considerazione da fare: "I turchi non conoscono la realtà di quello che è successo nel 1915. Difendono quello che credono di sapere. Questo non è negazionismo, è ignoranza e non si può fare una legge contro l’ignoranza”, concludeva Dink, che metteva anche in guardia da qualsiasi strumentalizzazione di una tragedia storica fatta a fini politici. "Se gli europei sono sinceri”, diceva provocatoriamente Dink alla fine dell’intervista, "devono lasciare che la Turchia progredisca verso la democrazia”. Ma perché possa svilupparsi quel "travaglio della coscienza” che anche la Turchia sta conoscendo attraverso le testimonianze e i dibattiti, non si può varare una legge che di fatto chiude la bocca. E concludeva: "La proposta di legge francese è un testo repressivo che io reputo al rango della legge turca che vieta di parlare di genocidio. Se una tale legge venisse adottata in Francia, chiedendo perdono ai miei antenati, verrei laggiù a violarla, negando io stesso il genocidio. Perché questo testo, così come l’art. 301 del Codice penale turco, è una legge imbecille”. (L’Express)

27 gennaio 2012. Misure di sicurezza
Un tempo c’era la ferrovia che collegava Akka a Jenin e quindi a Nablus. Jenin e Akka distano meno di 50 km l’una dall’altra, ma ora in mezzo c’è un checkpoint e un muro a dividerle.
Taiseer Khatib, arabo israeliano di Akka, e Lana, di Jenin, si sono incontrati alla fine della seconda Intifada quando Taiseer era a Jenin per il dottorato che stava facendo alla York University in Canada. La famiglia di Taiseer è stata sparpagliata in giro per il Medio Oriente all’indomani della Naqba, la Catastrofe, del 1948. La famiglia della madre finì in un campo profughi a Gaza; quella del padre si disperse tra Libano, Siria, Giordania e Israele. Nel 1948 la famiglia di Lana viveva nel nord del West Bank, la madre era di Nablus e il padre di Jenin. L’occupazione di Israele sarebbe arrivata 19 anni dopo.
Lana e Taiseer si sono sposati nel 2006 e ora vivono a Akka, in Israele, con i figli Adnan e Yosra, di 4 e 3 anni. Tre anni prima, nel 2003 la Knesset aveva però varato una legge che impedisce ai palestinesi di acquisire la cittadinanza israeliana con il matrimonio. Da allora ogni anno Lana deve chiedere un permesso di residenza, che non le concede però tutta una serie di diritti: non ha l’assicurazione sanitaria, non può guidare, non può studiare né lavorare. "Posso respirare, posso mangiare, ma questa non è vita”, dice Lana. Si stima che in Israele ci siano tra le 20.000 e le 30.000 persone nella sua condizione. Qualora non fosse rinnovato il suo permesso, la legge israeliana (che la Corte Suprema ha avvallato) prevede la "deportazione” di Lana. (The Electronic Intifada)

30 gennaio 2012. Guardare ma non toccare
Antonis Megoulis, a capo della Confederazione greca del commercio, in queste settimane ha fatto un esperimento, racconta Helena Smith, corrispondente del "Guardian” da Atene. Fermo a Ermou, nota via di negozi, si è messo a contare le borse in mano ai passanti. Il risultato, forse prevedibile, è che si fatica a vederne una. I consumatori girano, guardano, ma nessuno compra. Anche nei giorni dei saldi, con offerte fino al 70% di sconto, le persone, che pure hanno affollato le strade, alla fine si sono perlopiù limitate a guardare le vetrine. "Non potrebbe andare peggio” denuncia Megoulis. I negozi chiudono e non si vede la luce in fondo al tunnel. Dire che si tratta della peggiore crisi da decenni è un eufemismo: dal 2009 ben 65.000 negozi hanno chiuso e si stima che altri 50.000 siano sull’orlo della bancarotta. D’altra parte la gente proprio non ha soldi. Questa crisi del commercio sta colpendo soprattutto le donne: il 70% dei nuovi disoccupati sono donne e giovani. E quel che è peggio è che si tratta di persone con pressoché nessuna formazione, quindi difficile da "riconvertire” in altri settori. Il problema poi non è solo economico: la scomparsa delle piccole e medie aziende a favore delle multinazionali (le uniche in grado di sopravvivere con questi alti e bassi) porterà a meno concorrenza e quindi a prezzi più alti, ma questa crisi sta anche ridisegnando l’intera società greca, che rischia di rimanere senza una classe media. Se abbigliamento e calzature sono in crisi nera, a continuare ad andar bene (così confermando lo stereotipo che anche quando le cose vanno male la gente continua a spendere in cibo e alcolici) sono i ristoranti e le gastronomie. E vanno bene anche le grandi marche: la Nike ha appena aperto un negozio gigantesco in piazza Syntagma e molte delle poche borse notate da Megoulis venivano da lì.
(guardian.co.uk)

31 gennaio 2012. Freddo
Per quanto il pianeta si riscaldi, nei paesi scandinavi il clima continua a essere freddo e così laggiù qualcuno ha ben pensato di proporre a chi spende cifre astronomiche per raffreddare i server di trasferirsi in quella regione, dove peraltro l’elettricità è prodotta con fonti rinnovabili. Dopo due anni e mezzo di negoziazioni, racconta Anne Francoise Hivert, di "Libération”, Facebook si è lasciata convincere. Dal 2014, il comune di Lulea, in Svezia, 74.000 abitanti, ospiterà il più grande deposito di server mai costruito in Europa: 84.000 m2, l’equivalente di undici campi di calcio. A convincere Facebook non è stato solo il clima, ma anche la stabilità della rete elettrica, che dal 1979 non ha registrato interruzioni. Grazie a delle centrali idrauliche, Lulea dispone del doppio dell’energia che consuma. Oltre ai giganti del web, Apple, Yahoo, Amazon, anche le società che si occupano di stoccaggio di dati e cloud computing sono interessate a queste soluzioni. Google ha scelto la Finlandia, Microsoft l’Irlanda. La forza della Svezia sta anche nella qualità delle sue infrastrutture internet. Non a caso l’80% del traffico che arriva dalla Russia passa per il reame scandinavo. I cavi sono lì, conclude Hivert, e non aspettano che di essere usati. (liberation.fr)

31 gennaio 2012. Proibizionismo algerino
"Non c’è più un bar a Constantine. Né a Chlef, Tlemcen, Batna o Boumerdès. A Sétif ne restano due. Ad Algeri, famosa per i numerosi bistrot, ne sopravvive una quindicina. Il 23 gennaio, due delle più vecchie e conosciute osterie della capitale algerina, la Butte e la Toison d’or, hanno abbassato le saracinesche”. Così comincia un lungo articolo di Isabelle Mandraud su come in Algeria, silenziosamente, i locali in cui si consuma alcool stiano scomparendo.
Tahar, grossista di alcolici, dice che il settore è ormai in agonia. Pare che solo la Cabilia e Orano resistano. Nelle altre regioni i rivenditori di vino e liquori trascorrono le giornate nell’attesa che i prefetti facciano scendere su di loro la scure. "È uno stress quotidiano”, confida un esercente di Aïn Bénian, a 40 km da Algeri.
Ali Hamani, presidente dell’associazione dei produttori di bevande, si attende ulteriori pressioni con l’avvicinarsi delle elezioni. Intanto si moltiplicano le rivendite clandestine che talvolta fanno servizio su bar ambulanti o, più raramente, a domicilio. Le bevande vengono nascoste in sacchi di cui non si vede il contenuto. Il problema è che gli assembramenti che si formano invece si vedono eccome.
La chiusura dei bar sta portando a nuove abitudini: a metà pomeriggio, lungo le strade, si cominciano a vedere gli occupanti delle auto fermi a bersi una lattina di birra sul cofano. Intanto ai lati delle strade si accumulano lattine abbandonate. Questa "attitudine anti-alcol” pare risalga al 2006, quando il Ministero, allora guidato da un membro del partito islamista Msp, varò una serie di misure per regolare l’attività dei rivenditori d’alcol di fatto andando a creare una montagna di ostacoli burocratici. Tahar ricorda l’inizio degli anni 90, quando nella guerra tra potere e islamisti, i poliziotti proteggevano i punti di vendita incitando gli esercenti a stare aperti fino alle 23 come forma di resistenza. Purtroppo, ammette sconsolato: "Oggi accade il contrario”. (lemonde.fr)

2 febbraio 2012. Un appello
Al Gruppo Martin Buber-Ebrei per la pace appartengono osservanti e non osservanti, ma tutti laicamente rispettano la libertà e diversità religiosa, e, nel contempo, ritengono essenziale la separazione della religione dallo Stato, come garanzia del neutrale rispetto del pluralismo e della convivenza pacifica di culture e religioni.
Siamo sconcertati, sconvolti per gli incidenti accaduti di recente in Israele, come la forzata separazione di genere negli autobus e l’aggressione contro persone, incluse bambine, che non si conformano a dettami integralisti; urgono nel paese non solo una chiara distinzione fra stato e religione, ma altresì la ferma prevenzione degli abusi che derivano da una malintesa interpretazione dei valori religiosi dell’ebraismo. Del quale peraltro nessuna norma o consuetudine autorizza l’aggressione alle persone, cosa esplicitamente vietata dalla Torà e dalla Halakhà.
Chiediamo, nella Diaspora e in Israele, una esplicita condanna dell’oppressione delle donne, dei tentativi di imporre ad altri le proprie regole di vita, della coercizione provocata alla società da gruppi di fedeli, tanto ostili al resto della collettività da creare nuove forme, intollerabili, di segregazione.
Chiediamo un netto chiarimento da parte delle autorità religiose, nella Diaspora e in Israele, su ciò che è lecito e non lecito nell’ortodossia.
(Gruppo Martin Buber-Ebrei per la Pace)

3 febbraio 2012. District Eternity
Mi è stato autorevolmente chiesto di fare chiarezza su alcuni luoghi comuni che ingombrano l’immaginario collettivo italiano, in particolare quello parlamentare.
In America giudici e procuratori sono assolutamente immuni da procedimenti civili per le decisioni prese nell’esercizio delle loro funzioni: anche se facendolo hanno commesso dei reati. Possono essere perseguiti per via amministrativa o penale, ma non possono essere citati in una causa civile, nemmeno il giudice Ciavarella che vendeva i ragazzini: lo ha ribadito la Corte Suprema con la sentenza Connick contro Thompson. Negli Stati Uniti la prescrizione è breve perché, tolto il murder, termina dopo pochi anni (generalmente cinque). Però, se vi beccano prima, s’interrompe e non riparte più e vi possono processare e riprocessare fino alla fine dei tempi, come è accaduto a Wilbert Rideau.
In America le carriere separate non esistono. Giudici, avvocati, sceriffi, procuratori, sindaci, senatori, governatori e quant’altro appartengono tutti alla medesima carriera politica e passano con assoluta indifferenza da una funzione all’altra, e sempre nello stesso posto. La carica di District Attorney è spesso l’inizio di una carriera politica che può raggiungere le più alte vette, come accadde al mitico Warren, o che si può accontentare di una nomina a giudice.
Non dubito che negli Usa vi siano splendidi laboratori di polizia in cui dottoresse fighissime squartano cadaveri nel cuore della notte, ma la realtà è più prosaica e ogni giorno scoppia un grave scandalo che ne coinvolge uno (di recente si è parlato di migliaia di "Rape Kits” non testati). Il laboratorio della polizia di Houston (capoluogo della Contea Harris che ha fatto il 10% delle esecuzioni) fu chiuso d’autorità, anche perché ci pioveva dentro. Ne approfittarono per mettere in ordine e scoprirono decine di scatoloni contenenti centinaia di reperti smarriti. La stessa cosa è avvenuta in un laboratorio della Virginia e così due condannati a morte hanno salvato la pelle. Secondo alcuni umoristi gli americani avrebbero appena 2,5 milioni di dipendenti pubblici. In realtà sono 20 milioni di cui 2,5 lavorano nel sistema giudiziario. Un milione 200 mila poliziotti e impiegati di polizia, 800 mila carcerieri e 500 mila che lavorano nei tribunali. Altri umoristi parlano del limite delle due legislature. Mi limito a notare che un quarto dei senatori americani è al suo posto da più di un quarto di secolo e che in certi distretti giudiziari il District Attorney è noto come District Eternity. (giusticlaudio@alice.it)