Lisa Foa
A nome del comitato di garanzia dell’Associazione Pro Europa vorrei spiegarvi brevemente perché si è deciso di assegnare il premio internazionale “Alexander Langer” a Khalida Messaoudi.
Devo dire che inizialmente le nostre preferenze erano concentrate sulla Bosnia. E ciò innanzitutto per i legami particolari che avevano unito Langer alla resistenza bosniaca, e perché gli sforzi dei bosniaci per mantenere viva l’idea di una società pluralistica e multietnica ci sembravano -e ci sembrano tuttora- corrispondere appieno agli ideali e ai principi che hanno guidato l’intera vita di Langer, dal suo impegno giovanile qui nel Sud Tirolo -fino all’azione su scala europea e planetaria che aveva svolto negli ultimi decenni come europarlamentare e come militante indefessamente impegnato per la convivenza tra i popoli.
Se poi abbiamo unanimamente optato per Khalida Messaudi è perché nel frattempo c’è stata la fine della guerra in Bosnia, è finita l’emergenza e la Bosnia ha in qualche modo voltato pagina. Ciò non vuol dire che il comitato Pro Europa non continuerà a lavorare assieme agli amici bosniaci che hanno oggi più che mai bisogno che della Bosnia non ci si dimentichi. E hanno bisogno della nostra solidarietà perché la Bosnia risorga come una nazione e una società pluralistica e democratica. Lo dimostra la stessa presenza di una delegazione di Tuzla e Sarajevo a questa nostra cerimonia. E a sottolineare il nostro perdurante impegno per la Bosnia il premio verrà consegnato a Khalida in ottobre dal sindaco di Tuzla Selim Beslagic.
Khalida Messaoudi proviene da un paese, l’Algeria, che rappresenta oggi forse l’emergenza più drammatica della regione mediterranea, una regione a cui Langer ci invitava, pochi mesi prima di morire, a guardare come allo spazio di una nuova fratellanza euro-mediterranea. E Khalida è lei stessa una donna che conduce da molti anni un’azione politica e umana, rischiosa e impavida su molti versanti: contro il feroce terrorismo degli integralisti islamici, contro l’autoritario potere militare, e contro le stratificazioni più oscurantiste e retrograde nella società algerina, quali si sono espresse nel Codice della famiglia varato un decennio orsono. Azione e lotta quindi su più fronti per una società laica e progressiva, per la libertà della donna come base della libertà civile e per una vita democratica.
Khalida sarebbe piaciuta ad Alex per la sua capacità di caricarsi sulle spalle molti fardelli e per la sua coraggiosa determinazione di portarli avanti in condizioni di grave rischio e di minacce concrete alla sua stessa sopravvivenza. Sarebbe piaciuta per la sua complessità di donna, che vuole essere ad un tempo berbera e algerina, musulmana e razionalista, che coltiva le sue radici kabile, ma sa guardare anche a spazi più vasti e al futuro del suo paese. Questo premio, pur modesto, vuole essere un atto di solidarietà e di incoraggiamento alla donna Khalida Messaoudi perché possa continuare il suo prezioso lavoro per la liberazione dell’Algeria. E a Khalida come rappresentante di molte altre donne e molti altri uomini impegnati nello stesso lavoro e nella stessa lotta per un’Algeria democratica. Più di trenta anni fa in Algeria si è svolta una grande lotta di liberazione che portava un contributo essenziale alla demolizione del sistema di oppressione coloniale. Oggi la lotta che conducono gruppi e forze politiche consistenti per un’Algeria democratica e laica non ha minore importanza per un’evoluzione positiva delle società post-coloniali e per il futuro di quello spazio euro-mediterraneo cui guardava Alexander Langer. Con questo premio vogliamo anche sottolineare tutta la gravità della situazione algerina e ricordare che la lotta che si conduce in Algeria per una vita democratica merita da parte nostra grande attenzione e solidarietà.

Khalida Messaoudi
Cari amici, ringrazio l’Associazione Pro Europa per avermi invitata e per aver deciso di assegnarmi il Premio Alexander Langer. Io rispetto le persone in genere, e soprattutto quelle che lottano per la verità. E voglio dirvi quale è stato il mio sentimento, la mia reazione quando ho saputo di essere stata scelta per ricevere questo premio. Il primo sentimento è stata la paura. Mi sono chiesta perché proprio io? Perché io, mentre ci sono in Algeria tante persone che lottano nello stesso modo? Perché? Me lo merito forse più di tutte quelle ragazze che ogni giorno vanno a scuola sfidando i diktat islamisti, che vorrebbero impedir loro di andare a scuola? Forse lo merito più io di tutti quei liceali che continuano ad andare a scuola per preparare il loro esame di maturità anche nei quartieri più colpiti di Algeri? Ragazzi che possono essere vittime di un attentato, come quello recente a Bab El Oued, un quartiere di Algeri, mentre accompagnavano i loro compagni al cimitero e il giorno dopo sono di nuovo lì a scuola. Forse me lo merito più di loro? Più di quelle ragazze che si mettono -anche loro- in pericolo di vita tutti i giorni? Forse me lo merito più di tutti i giornalisti algerini che continuano a lavorare, nonostante che 65 di loro siano stati assassinati, neppure per quello che avevano scritto, ma solo perché erano quello che erano? E nonostante questo, nonostante l’oppressione, le minacce di morte quotidiane, tutti i giorni continuano ad andare al loro lavoro e continuano a fare il giornale, e a lottare non solo contro queste minacce degli integralisti, ma anche contro le censure e l’oppressione intollerabile di un potere che non sopporta la libertà d’espressione. Forse io lo merito più di loro?
Mi chiedo anche se me lo merito più di tutte le mie concittadine, di tutte le donne algerine, che vivono tra l’incudine e il martello: da una parte sono minacciate dai gruppi islamisti che hanno fatto del cosiddetto matrimonio di piacere, cioè dello stupro e della violenza -che può arrivare fino all’assassinio- strumenti di guerra e di oppressione, e dall’altra devono subire quotidianamente l’ingiustizia, altrettanto insopportabile, organizzata dallo Stato attraverso l’infame Codice della famiglia, di essere considerate sotto-cittadine. Anche loro, nonostante questa doppia pressione, continuano a lottare.
Nel ricevere questo premio ho quindi timore nei confronti di tutte le donne e tutti gli uomini del mio paese, che con la loro lotta quotidiana fanno sì che l’Algeria sia ancora in piedi. Persone per cui la parola libertà ha ancora un senso e per le quali vivere significa essere degni, avere una dignità. E poi soprattutto ho avuto paura nel raccogliere la “sfida” che mi avete lanciato, nel nome di Alexander Langer. Ho avuto paura di non essere all’altezza di proseguire questa lotta, che lui ha così degnamente combattuto per tutta la vita. Ho capito che Alex, nonostante la morte, in qualche modo, è ancora vivo. Il fatto che mi sia stato assegnato questo premio ne è la prova. Anch’io, così come voi, detesto le prigioni, le gabbie, non solo quelle fisiche, ma soprattutto quelle mentali, contro cui Alex ha combattuto tutta la vita. Sono felice di ricevere questo premio perché ciò significa che ci sono, al di fuori dell’Algeria, tante persone che riconoscono che la lotta delle donne e degli uomini democratici algerini appartiene in realtà a tutti gli uomini e donne democratici del mondo. Consegnare a me, Khalida Messaoudi, il Premio Alexander Langer è riconoscere a me algerina, cioè africana, musulmana, berbera, araba, mediterranea, lo statuto dell’universalità. Vi ringrazio davvero molto.
Spero di vivere a lungo, perché esserci è importante. Spero di continuare ad avere la forza di battermi e di essere ancora nel mio paese il giorno in cui potrò ricordare, pubblicamente e alla luce del sole, nello stesso tempo Averroé e Sant’Agostino, per chi non lo sapesse, Sant’Agostino è algerino. Anche lui oggi è in prigione, perché il potere lo nega, nega agli algerini uno dei loro padri. Io sogno di poterlo riconoscere, così come Santa Monica, anche lei algerina. Sogno una scuola, in cui i bambini possano essere fieri di quella che è forse la nostra madre fondatrice, la Kahina (Dihya), un’antica condottiera, una regina che combatté contro gli invasori arabi. Sogno anche che i nostri bambini possano andare fieri di Sukhina, un’altra donna, una delle pronipoti del Profeta, che già allora si pronunciò contro la poligamia.
Oggi so chi mi prenderà per mano nel futuro: Mouloud Mammeri, un grande scrittore e antropologo studioso della Khabilyia; Tahar Djaout, il primo giornalista assassinato in Algeria; e da oggi anche Alexander Langer. Vi sono davvero grata di avermi dato un “padre spirituale” in più.