L’appello dei “35” per il lavoro pone ampi spunti di riflessione per affrontare anche in Italia il nodo cruciale tra lavoro e forma del contratto sociale. La questione del lavoro, infatti, non può essere semplicemente ricondotta alla sua mancanza, che pure costituisce un problema drammatico, ma chiama in causa l’intera organizzazione delle relazioni sociali e delle forme di sicurezza garantite dall’ordinamento statuale. Inoltre, su diversi punti di metodo e di contenuto, l’appello introduce elementi che si distanziano in misura significativa dai modi di pensare e di agire di molta parte della sinistra italiana. Il primo spunto di riflessione riguarda la necessità di inserire il rapporto esistente tra lavoro e contratto sociale in una dimensione europea. Il documento dei “35” è molto chiaro su questo punto. Lo Stato nazionale si rivela ormai una dimensione insufficiente ad affrontare questioni di tale portata, e soltanto una dimensione europea fornisce la cornice adeguata entro cui i problemi devono essere inquadrati. Questa, che dovrebbe essere una considerazione scontata, in realtà spesso rimane ancora una consapevolezza da acquisire. Da noi, spesso, la dimensione nazionale dei problemi sembra ancora la cornice più indicata per risolverli.
Il secondo elemento di interesse riguarda la necessità di giungere ad una “compresenza” di soluzioni diverse. La questione lavoro non può essere affrontata solo con la proposta di riduzione dell’orario, solo incentivando l’impresa sociale e il settore no profit, solo con il salario di cittadinanza. Ciascuna di queste tre soluzioni è importante se è accompagnata dalle altre. E’ dall’intreccio di misure diverse che può scaturire una seria strategia in termini di politica del lavoro e dell’occupazione. Anche in questo caso è evidente la discontinuità con il dibattito nella sinistra italiana, la quale si divide, volta per volta, su ciascuna di queste tre indicazioni, senza considerare l’insieme di tali proposte. Infine, mi sembra importante richiamare un aspetto che nel documento è implicito e che noi, invece, dobbiamo esplicitare: le specificità locali e nazionali in un contesto globalizzato rimangono tutte, anzi vanno analizzate nel rapporto dato tra il locale e il globale. Inserire le strategie per il lavoro in una dimensione europea non significa rinunciare al compito di definire percorsi che ricalchino le specificità nazionali: pensare all’Europa della differenza è una condizione perché le strategie comunitarie riescano a sortire concreti effetti. Aderire all’appello significa attivare riflessioni sulle nostre specificità, facendo attenzione agli aspetti di ambivalenze e ambiguità, insite nei processi che distruggono lavoro, legami sociali e garanzie consolidate per creare e delineare, ambiguamente, altri legami sociali. Sotto questo profilo l’Italia rappresenta sicuramente un utile laboratorio.
Vediamo di seguire il filo delle ambiguità in cui siamo immersi partendo dal versante dei comportamenti del Governo e delle parti sociali, evidenziato dal continuo rinvio della Conferenza Governativa sul lavoro.
L’accordo sul lavoro di quest’anno, insieme a molte ambiguità, segna sicuramente una discontinuità rispetto al modello tradizionale delle relazioni industriali, che ha segnato la vicenda dello sviluppo nazionale. Alla luce di questo accordo possiamo considerare quello precedente, del luglio 1993, come l’ultimo accordo fordista del nostro Paese. Un accordo, quello di allora, che riproduceva la classica triangolazione Governo-sindacati-industriali, ponendo al centro la questione del costo del lavoro come asse attorno al quale far ruotare l’intero sistema di regolazione sociale. Invece, l’accordo del ’96 per diverse ragioni può considerarsi il primo dell’era postfordista.
La prima perché, ambiguamente, introduce elementi di sostituzione della negoziazione a livello centrale con una concertazione che tiene conto delle diversità e specificità territoriali. Sia l’introduzione dei contratti d’area, riguardanti i punti di crisi, che quella dei patti territoriali, riguardanti lo sviluppo locale, sembrano indicare una tendenza a voler assecondare quei processi di territorializzazione che sono da tempo una componente essenziale del modello italiano. L’idea che problerni specifici in una determinata area territoriale debbano essere affrontati in sede locale, con risorse nazionali e sovranazionali, sembra affacciarsi nei comportamenti del Governo e delle parti sociali. ...[continua]

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