Alfiero Boschiero, quarantanovenne, nato e vissuto nella terraferma veneziana, sindacalista della Cgil da quando aveva 25 anni, è oggi responsabile regionale veneto dell’Auser, l’Associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà, creata dalla Cgil e dal sindacato pensionati nel 1989.

Mi trovo, nel 1972, a vent’anni, a lavorare a Porto Marghera, nelle imprese d’appalto del Petrolchimico; quel Petrolchimico che balza ciclicamente alle cronache per gli effetti devastanti sull’ambiente e sulle persone. Proprio l’angoscia dell’ambiente circostante e le ingiustizie palesi che osservo -anche tra operai e operai, i chimici dipendenti da Montedison che mangiano in mensa, e noi degli appalti che ci arrangiamo diversamente- sono l’innesco di una reazione. Prima, forse, emotiva, moralistica, dettata dall’ambiente cristiano da cui provengo; successivamente, più consapevole, più disciplinata, più politica. Il salto è dettato dall’incontro con Angelo -che voglio qui pubblicamente ringraziare- un delegato, rappresentante sindacale in azienda, che dimostra di condividere la mia voglia di ribellione, la mia angoscia personale, ma dà ad essa un profilo razionale, la traduce in obiettivi perseguibili, in rivendicazione, in conflitto. E mi apre la strada alla Cgil prima -con l’iscrizione e l’impegno volontario come delegato- e al Pci poi.
Ricordo con intatta emozione la prima assemblea da tenere, l’importanza di un gesto di stima o di comprensione da parte dei miei compagni, o le discussioni, nel pullman che ci portava a Marghera, o in mensa, intorno alle questioni di lavoro, o in merito ad un articolo uscito su L’Unità o su Il Giorno. E’ una scoperta straordinaria. Anzitutto, perché mi trascina fuori da una percezione di me privata, familistica, paesana: mi scopro, appunto, uomo pubblico, politico, che può ragionare sugli eventi, interpretarli e, specialmente, intervenirvi attivamente. E, in secondo luogo, perché il lavoro non riempie un tempo anonimo, neutro, ma si manifesta come luogo della socialità, del conflitto, dei diritti. C’è una frase di Simone Weil, che lo dice benissimo: “La religione fa nascere l’amore, ma il lavoro fa nascere i diritti, il rispetto della persona umana, l’uguaglianza; ed è per questo che la cooperazione fa nascere un’amicizia schietta che nulla può sostituire”.

Lavoro in Cgil da molti anni, esattamente da 24 anni. Ho un debito di riconoscenza verso la Cgil. Per una ragione precisa: ha dato forma alle mie attese e alle mie speranze, senza mai farmi sentire omologato, burocrate, grigio, annoiato. E’ una fortuna sul piano professionale, e su quello personale: percepire che la tua intelligenza, la tua creatività, la tua passione sono riconosciute e ospitate in uno spazio che dà loro potenza, riscontro, esito organizzativo. Lo ritengo anche teoricamente un punto importante. E’ la dialettica tra singolo e collettivo che fa ricca e vitale la Cgil -come ogni altra associazione- il delicato equilibrio tra competenze/attitudini/benessere del singolo e compiti/priorità/urgenze dell’organizzazione. Presidiare lo sviluppo organizzativo significa aver cura e investire sulle persone. L’ho potuto sperimentare sia svolgendo compiti di responsabile organizzativo, sia negli anni in cui mi sono occupato di formazione.

Ho ricoperto nel tempo incarichi molto diversi, e ai vari livelli organizzativi, dalla zona della Riviera del Brenta, nell’entroterra veneziano, a Roma, alla Cgil nazionale. Oggi ho la responsabilità regionale dell’Auser, l’Associazione di volontariato e solidarietà costituita nel 1989 dalla Cgil e dal suo sindacato pensionati.
Mi emoziona tuttora ricordare i primi anni del mio incarico come dirigente a tempo pieno. La Camera del Lavoro di Venezia -era il 1977-’78, anni che ancora risentivano dello slancio dei primi anni Settanta- si proponeva di strutturare meglio la sua presenza sull’intera provincia, oltre i confini della città e di Porto Marghera; e cercava giovani dirigenti per assolvere a questi compiti. A me, senza ‘titoli ed esami’, fu assegnata la responsabilità della Riviera del Brenta. Con me c’erano altri giovani compagni, con cui diventammo presto amici. Ci univa l’entusiasmo di ragazzi un po’ incoscienti e la percezione di operare in una terra ricca di reti sociali e di tradizioni democratiche e di sinistra. La rete dei partiti, in particolare del Pci, era ancora notevole: da un lato aveva supplito ad una presenza sindacale poco strutturata nel territorio ...[continua]

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