Dal 6 al 12 marzo ci sarà a Copenaghen un vertice di capi di stato e di governo promosso dalle Nazioni Unite sullo sviluppo sociale. Puoi parlarcene?
La decisione di promuovere un appuntamento di questa importanza, che cade dopo la conferenza mondiale di Rio del ’92, la conferenza di Vienna del ’93 sui diritti umani e quella dello scorso anno del Cairo su popolazione e sviluppo, nasce dalla constatazione che viviamo in una situazione internazionale sempre più instabile, in cui i conflitti si vanno moltiplicando. Uno dei motivi di tale instabilità sta certamente nella crescita della povertà, della disoccupazione, dell’emarginazione sociale e questi sono i tre temi che saranno al centro della Conferenza. Secondo la Banca Mondiale, oggi, un miliardo e centocinquanta milioni di persone vivono al di sotto della soglia della povertà, hanno un reddito, cioè, di meno di un dollaro al giorno. Sempre le Nazioni Unite ci dicono che, sia all’interno dei paesi che a livello internazionale, è aumentato il divario tra ricchi e poveri: se nel 1960 il 20% più ricco della popolazione mondiale aveva un reddito superiore di trenta volte al 20% più povero, oggi siamo a sessanta volte. Viviamo in un mondo dove il cittadino più ricco, lo svizzero, ha un reddito di quindicimila dollari l’anno a fronte degli 80 dollari l’anno di quello più povero, mozambicano. Questa crescente concentrazione delle opportunità nelle mani di un gruppo sempre più ristretto della popolazione mondiale, genera tensione sociale e problemi nuovi come la fuga in massa dei poveri dal Sud del mondo verso il Nord, che ha toccato, negli ultimi anni, livelli senza precedenti. Quindi l’aumento della povertà pone nuovi problemi anche alle società ricche. Questa situazione estremamente instabile poi esplode in conflitti come quello del Ruanda che veramente toccano livelli inauditi.
Come mai un tale aumento della povertà?
Perché negli ultimi anni, sia all’interno dei paesi che a livello internazionale, ha avuto mano libera un liberismo economico che ha portato a una sorta di deregulation in nome di una libertà delle transazioni che, di fatto, poi non esiste: c’è libertà nel rapporto tra pari, non quando ci sono dei paesi dominati e altri costretti a subire la volontà dei primi. Così i paesi in via di sviluppo, soprattutto l’Africa, hanno subito una crescente emarginazione dal sistema economico internazionale. Sono stati gli anni, poi, del cosiddetto “aggiustamento strutturale”, imposto dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale ai paesi del Sud fortemente indebitati verso i paesi industrializzati e a rischio di insolvenza. Questo “aggiustamento” impone misure sempre impostate a criteri di liberismo economico: contenimento del ruolo dello Stato, spazio ai soggetti economici privati sia nazionali che esteri, contenimento della spesa pubblica con tagli a quella non produttiva, quindi alla sanità, all’istruzione, agli interventi nel campo nutrizionale a favore delle fasce più povere, blocco dei salari, liberalizzazione massima delle importazioni ed impulso alle esportazioni con precedenza rispetto alle esigenze di fabbisogno interno.
All’inizio del decennio ’90 sono partite le denunce da parte di alcune agenzie dell’Onu. L’Unicef in particolare ha denunciato il deterioramento della condizione di vita dei bambini: la mortalità infantile, diminuita negli ultimi anni, è nuovamente in crescita; aumenta lo sfruttamento della manodopera infantile, aumenta il numero dei bambini sotto peso. Questo significa che c’è un numero crescente di persone affamate: un abitante medio dell’Africa mangia oggi peggio di trent’anni fa. Si calcola che, in quasi tutti i paesi dell’Africa, le spese per la sanità siano diminuite del 50%. Ora le Nazioni Unite parlano di “aggiustamento dal volto umano”; le Organizzazioni non Governative vanno oltre e affermano che le misure di risanamento delle economie che, in effetti, sono necessarie, non devono mai penalizzare i più poveri con tagli e con privatizzazioni nei settori vitali, come quello della sanità e dell’istruzione di base o della nutrizione. Inoltre propongono una riforma delle istituzioni economiche internazionali che riconduca queste agenzie dentro la famiglia Onu perché è assurdo che le loro decisioni vadano a vanificare gli sforzi che l’Onu fa per promuovere lo sviluppo. Inoltre per le Ong lo Stato n ...[continua]
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