Francesco Papafava, editore, è membro dell’International Commette of Museum (Icom), Ong riconosciuta dall’Unesco, e cofondatore dell’Icom-Italia. Recentemente si è recato spesso in Serbia e Kosovo.

Perché i monasteri sono così importanti dal punto di vista religioso, storico e artistico?
Quelli nel Kosovo lo sono anche da un punto di vista politico.
Sono insediamenti fortificati da mura militari, al centro dei quali sorgono delle chiese; queste nel Kosovo in tre casi (a Pec, Gracanica e Visoki Decani) sono integre, medievali e solenni. All’interno, le residenze monacali, tuttora vissute, sono otto-novecentesche, costruite senza intenzioni monumentali.
Credo sia opportuno partire da alcune notazioni storiche. Sopraggiungendo ad altre popolazioni slave, fin dal VII secolo, tribù serbe s’installarono nella Raska (oggi Sangiaccato), nella Metohija (territori di Pec e Djakovica) e nella romana Dioclea (odierno Montenegro). E’ presumibile che esse fin dal IX-X secolo dessero vita a organizzazioni sociali chiamate “zupanati”, dapprima tributarie di Bisanzio, ma dall’XI secolo sotto il controllo del Principato della Dioclea (dal XII secolo detto “della Zeta”), primo Stato serbo. Nella seconda metà del XII secolo Stefano Nemanja, della casa regnante della Zeta, riunisce in un granzupanato la Raska e la Metohija, assorbe la Zeta e dopo alterne vicende, sfruttando le ostilità fra l’Ungheria cattolica e l’Impero Bizantino ortodosso, nel 1190 strappa all’imperatore Isacco Angelo il riconoscimento dello Stato serbo. Da allora inizia l’espansione della Serbia verso sud, a cominciare dal Kosovo. Essa raggiunge la massima estensione con l’imperatore Dusan (1331-55), che estende lo stato fino all’Ionio e all’Egeo. Fin qui una vicenda analoga ad altre nell’Europa medioevale. Sennonché l’espansione militare in territori già slavizzati, con nuclei sopravvissuti di popolazione autoctona (valacchi), e probabilmente anche di insediamenti albanesi, procedeva puntualizzando le conquiste con la fondazione di monasteri fortificati, segno tangibile del nuovo potere. Imponenti, in un paese d’agglomerati di capanne, essi erano luoghi d’aggregazione sociale e anche sedi amministrative.
Sul piano del ruolo rivestito dalla religione nella costruzione della nazione dei serbi va detto che a partire dalla seconda metà del IX secolo, l’evangelizzazione delle popolazioni slave del Sud ad opera di missionari greci andò di pari passo con la traduzione in paleoslavo di testi religiosi dal greco e con l’introduzione della liturgia greca; con l’alfabetizzazione, socializzata dalle pratiche religiose collettive, si andò formando la coscienza di un’identità comune, superiore a quella tribale, e l’orientamento di fondo della “ideologia” serba: la fede fondamento del legame sociale.
Nel 1219 Sava, monaco al Monte Athos, terzogenito del fondatore della dinastia serba Stefano Nemanja (entrambi poi santificati), grazie al principio ortodosso per cui ad ogni Stato spetta un capo religioso indipendente, sottoposto solo al rispetto dei canoni sinodali, strappa al Patriarca bizantino il riconoscimento della “autocefalia” dell’Arcivescovado della Raska. Per motivi di sicurezza, esso verrà trasferito nel 1284 dal Monastero di Zica nella Raska, al Monastero di Pec, che nel 1354, all’apogeo della potenza serba, assurgerà a sede patriarcale.
Ritenuta un’istituzione politica, il Patriarcato è soppresso dai turchi subito dopo la fine dell’indipendenza serba (1459). Ripristinato dalla Sublime Porta nel 1557, allo scopo di controllare l’influenza della Chiesa nazionale sulla popolazione autoctona, verrà ancora abolito nel 1766 perché manifestamente antiturco e, grazie ad autonomie amministrative, per i serbi quasi uno Stato surrogato; ma, pur sottoposto all’autorità religiosa greca, il Monastero di Pec non sarà soppresso: testimonianza monumentale della grandezza antica, resterà il riferimento tangibile dell’identità e della speranza di riscatto dei serbi.
Dopo le Guerre Balcaniche (1912-13), alla Conferenza degli Ambasciatori di Londra il Kosovo verrà assegnato in parte alla Serbia e in parte (la Metohija) al Montenegro, deludendo le aspettative degli albanesi kosovari, da tempo in larga maggioranza, che contavano d’essere compresi nel nuovo Stato alb ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!