Come vedi l’esperienza di don Milani?
Secondo me non bisogna vederla troppo dal punto di vista della pedagogia, della scuola. Quello che è stato veramente don Milani è un’altra cosa: ci sono dei momenti e delle persone, nella storia, che cambiano la dimensione del tempo nel momento in cui vivono, per cui non si può prendere quello che dicono alla lettera o imitarli alla lettera.
In don Milani c’era un qualcosa in più, così come Dante aveva qualcosa in più rispetto agli altri poeti dell’epoca ed ha fatto sì che attraverso il poema si diffondesse una lingua.
Posso dire quello che ho trovato io. Non ho conosciuto don Milani, anche se probabilmente l’ho sfiorato una decina di volte o per la strada o perché il suo punto di riferimento spirituale era don Benzi, che era il mio parroco. Comunque non l’ho mai conosciuto direttamente; quando sono andato a Barbiana era morto da poco, doveva essere l’inverno fra il ’67 e il ’68.
La cosa particolare è che ancora oggi chi va su a Barbiana alla tomba di don Milani o entra in quella stanza dove lui insegnava, ha l’impressione di essere in un luogo in cui quando si tocca il tavolo è veramente il tavolo, cioè in un luogo vero, in cui si è vissuto intensamente. Secondo me lui, protestando contro la scuola ufficiale, non intendeva, ad esempio, che la scuola ufficiale si mettesse a fare il tempo pieno, perché il tempo pieno così lo poteva fare solo lui o, comunque, può far parte solamente di una vita in cui ci siano tutta una serie di contenuti. Non si può desumere dalla sua vita e dalla sua proposta una specifica riforma della scuola.
Quello che lui ha cercato di fare attraverso questo mezzo della scuola privata, è stato di lanciare un messaggio; un messaggio che era profondamente anticonsumista, ma anche con una certa dose di realismo. Ad esempio, fa il paragone fra il ragazzo di montagna o di campagna e il ragazzo di città e dice che il ragazzo di montagna non sa se un rubinetto si gira a destra o a sinistra, mentre il ragazzo di città conosce i semafori. Mette a confronto le due conoscenze, facendo una chiara rappresentazione della cultura del ragazzo di campagna come più ricca di quella del ragazzo di città, ma nello stesso tempo riconosce anche il potere maggiore del ragazzo di città rispetto a quello di campagna. Andando fino in fondo nel suo metodo, ritiene che dando gli strumenti del ragazzo di città a quello di campagna, quest’ultimo vinca e imponga al ragazzo di città una cultura migliore, più ricca, più semplice, più umana di quella borghese. In un certo senso io ho trovato in questo tipo di messaggio, con tutti i suoi limiti, una proposta che è ancora viva oggi; anzi è ancora inespressa, non è ancora sfociata in una risposta. Una proposta di un modo di vivere più semplice, più umano e più cristiano rispetto alla società dei consumi, rispetto cioè ad una cultura consumista, industrialista.
La sua lotta contro la scuola, e quindi contro la professoressa, la vedo quasi come una specie di circostanza nella quale ha cercato, tramite una lotta e un confronto, di dare un’identità.
Poi, che ci sia riuscito o meno, è un altro paio di maniche. Qualcuno certamente potrà dire che i mezzi dimostrano di essere stati più o meno giusti a seconda della riuscita del loro fine, però secondo me è la direzione che conta; i mezzi si potranno cambiare, ma è l’afflato la cosa importante.
Don Milani aveva ad un certo momento iniziato un lavoro per me molto importante, anche se forse ha scritto poche pagine e non è mai uscito fuori, quasi un galateo della classe operaia. Tutte cose che rischiano anche una notevole dose di moralismo.
E forse questa è la ragione per cui non è andato avanti e non l’ha ultimato; però l’idea di porsi il problema di identità come popolo, dando un certo valore di costume o di cultura o di valenza religiosa a certi comportamenti, modi di essere, modi di vestire, in fondo è il problema centrale di ogni popolo.
Anche la critica a quelle ragazze che andavano a ballare io non riesco a vederla come Bugliani. Una cosa è il ballare, la festa, nell’ambito di un popolo che ha una sua identità, una sua comunità, che ha sue tradizioni vive, che ha dei momenti di festa e in cui però si mescola tutto; altra cosa è andare a ballare come se fosse uno degli spezzoni della nostra vita, una vita in cui praticamente siamo divisi fra l’appartamento dove andare a dormire la notte, il lavoro, il divertimento, la sanità, la morte, tutte cose specializzate, bu ...[continua]

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