Marirosa Iannelli è presidente di Water Grabbing Observatory, specializzata in cooperazione internazionale e water management, e ricercatrice presso la London School of Economics. Questa intervista e quella che segue  fanno  parte del progetto “Si dice acqua”, (https://sidiceacqua.hypotheses.org), un podcast e un blog a cura di Emanuele Fantini, ricercatore all’Institute for Water Education di Delft.

Qual è il tuo percorso di studi?
Ho fatto scienze politiche a Genova, poi a Londra, alla London School of Economics per la finanza climatica, quindi gestione dei fondi sull’adattamento, appoggiata al Grantham institute, l’istituto sui cambiamenti climatici. E poi a Copenhagen, sia l’anno scorso che quest’anno, perché mi trovo bene e ogni anno ho un focus tematico. Quest’anno sto vedendo più la parte di diritto relativo all’acqua.
Dieci anni fa, al tempo del referendum, eri già impegnata?
Mi fai fare un bel salto nel passato. Sì, ero a Bologna, città in cui abito e vivo correntemente. Facevo parte di alcuni gruppi di attivismo locali, di diverso tipo, seguivo sia il filone della mobilità sostenibile che quello dell’ambiente.
Proprio tramite un’associazione che si occupa di tematiche ambientali, mi ero avvicinata all’organizzazione del referendum e impegnata nella raccolta di firme coi famosi banchettini. Ricordo in particolare via del Pratello, che è una via storica della città, dove in quei mesi, ogni occasione, ogni festività e ogni weekend erano buoni per mettersi con un banchettino, una sedia e una bandiera “acqua bene comune” per spiegare alle persone perché fosse così importante andare a votare al referendum e votare sì per l’acqua pubblica. È stato quello il periodo in cui ho iniziato a incuriosirmi rispetto proprio alla tematica dell’acqua, sia in termini di percorso di studio, quindi all’università, sia anche in ambito lavorativo. Ma questo sarebbe arrivato un po’ più tardi.
Io vengo da un percorso universitario umanistico, perché mi sono laureata in lingue e poi mi sono specializzata in cooperazione internazionale e, di conseguenza, nel settore dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, della gestione delle risorse che già all’epoca aveva, come dire, un ruolo importante nella mia formazione accademica. Il referendum è stato un momento di partecipazione cittadina, ma anche di grande gioia. Prima di allora l’unico momento “storico” era stato il G8, però ero un’adolescente, avevo 15-16 anni e certo non era stata una gioia…
Invece il referendum è stato un bellissimo percorso di democrazia che ho vissuto in prima persona e che ha segnato sicuramente anche la mia attitudine al volontariato e all’attivismo. L’attivismo è una parola che a volte prende un’accezione negativa, ma che invece a mio avviso ha una fortissima connotazione positiva, perché ci pone in prima linea sul fronte dei nostri doveri ma anche dei nostri diritti. Essere attivi per una causa importante vuol dire essere attivi per la nostra società civile. Sì, sono stati mesi fondamentali anche per la mia evoluzione come persona. Poi da lì al lavoro sono successe altre varie cose.
Ma come mai l’acqua?
Dopo anni di studio il vero innamoramento con l’acqua è avvenuto in Abruzzo, in un borgo che si chiama Anversa degli Abruz­zi, dove ci sono le oasi del Wwf, le Gole del Sagittario. Ero in visita da un amico, credo intorno al 2013, e mi sono messa a parlare con lui di quanto le risorse idriche, dai laghi ai fiumi, dalla montagna al mare, fossero fondamentali per la nostra vita e per l’ecosistema in generale, e di quanto, però, fossero poco prese in considerazione dall’attenzione pubblica, dai media e dalla politica.
Ecco, lì è scattato qualcosa, dentro di me, io la chiamo la scintilla dell’acqua, e ho deciso che avrei orientato il mio percorso lavorativo in questa direzione, occupandomi di ambiente, ma in particolar modo di acqua. Poi, come in tutte le storie, è arrivato un incontro importante, un anno dopo, durante la conferenza sul clima di Parigi, durante la Cop 21. In una boulangerie parigina un collega mi ha presentato il cofondatore del Water Grabbing Observatory, Emanuele Bonpan, un geografo che era alla Cop21 come giornalista, e con lui ho parlato a lungo nei giorni in cui aspettavamo questa firma dell’accordo storico sul clima. A un certo punto io, che all’epoca avevo già iniziato a lavorare con un’organizzazione internazionale in ambito di cooperazione, quindi ero già stata diverse volte in alcuni paesi africani per occup ...[continua]

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