Stefano Nannarelli, naturalista, ha fondato il Centro di Recupero Tartarughe Marine di Linosa.

Da ormai trent’anni vai a Linosa per monitorare la schiusa dei nidi delle tartarughe Caretta caretta. Puoi raccontare?
Linosa è un’isola molto piccola, cinque chilometri quadrati, che sta in mezzo al canale di Sicilia, a venti miglia a nord di Lampedusa; non ha un aeroporto né un porto; praticamente è l’unica vera isola italiana. Da noi ci sono molte isole e arcipelaghi importanti, ma sono tutti piuttosto vicini a terra; Linosa è a oltre cento miglia da terra, è raggiungibile solo via mare, se il mare lo consente... la dimensione di isolamento che avverti lì non te la dà nessun’altra isola italiana. 
Io ci sono arrivato trent’anni fa e non me ne sono più andato. Nell’88, c’era un progetto dell’università di Roma e del Wwf Italia che mandava in giro ragazzi a monitorare le spiagge. Io dovevo fare quindici giorni a Linosa e quindici a Lampedusa; dopo i primi quindici a Linosa mi sono trasferito a Lampedusa, ma al quarto giorno me ne sono tornato di corsa a Linosa! È stato amore a prima vista
Nel 1994 ho fondato un’associazione, Hydrosphera, con cui abbiamo iniziato uno studio, sempre a Linosa, per la salvaguardia delle tartarughe marine; da allora ogni estate monitoriamo la schiusa delle uova di Caretta caretta. 
Linosa in passato aveva due spiagge: Pozzolana di Ponente e Pozzolana di levante; quest’ultima, col tempo, è stata erosa dal mare; oggi rimane solo la prima, una spiaggia molto piccola, lunga cento metri e profonda al massimo dieci. La sua particolarità è di essere completamente nera perché l’isola è vulcanica. All’epoca si diceva che non era adatta alla deposizione delle uova, noi però non ci siamo fatti scoraggiare e il primo anno abbiamo trovato sei nidi, il numero più alto in tutta Italia. È stata un’iniezione di fiducia incredibile. L’anno successivo abbiamo fondato il Centro di Recupero Tartarughe Marine, che negli anni ha curato centinaia di esemplari.
Parliamo delle tartarughe marine. 
La loro è una lunga storia, che inizia oltre cento milioni di anni fa; le forme che vediamo ancora oggi risalgono a un’epoca che va tra i sessanta e i dieci milioni di anni fa. Attualmente, le sette specie viventi (Caretta caretta, Chelonia mydas, Eretmochelys imbricata, Lepidochelys kempii, Lepidochelys olivacea, Natator depressus e Dermochelys coriacea) sono tutte a rischio di estinzione e per questo sono protette da numerose leggi e convenzioni internazionali. 
Le tartarughe marine sono dei rettili e, a parte la peculiarità esclusiva dei cheloni, di avere il corpo racchiuso in un guscio costituito da uno scudo dorsale, il carapace, e da uno ventrale, il piastrone, hanno tutte le caratteristiche generali di questa classe, tra le quali la cute corneificata, i polmoni, un solo condilo occipitale, il cuore con il ventricolo non completamente diviso, la fecondazione interna e l’eterotermia, una condizione che non consente il controllo autonomo della temperatura corporea, come fanno invece i mammiferi e gli uccelli, e che quindi ne limita la distribuzione geografica; non a caso non esistono rettili nelle aree fredde del pianeta. I rettili hanno infine la capacità di produrre un uovo particolare, definito amniotico, che dal punto di vista evolutivo ha rappresentato una straordinaria novità. 
La loro bellezza forse è racchiusa proprio in quell’uovo. Grazie ad esso, infatti, i rettili sono stati i primi vertebrati ad affrancarsi dall’ambiente acquatico. Prima della sua comparsa, le uova dei vertebrati, comprese quelle degli anfibi, dovevano essere deposte in acqua, dove avveniva il loro sviluppo. 
Nei rettili succede questa cosa straordinaria che consente all’embrione di svilupparsi indipendentemente dall’acqua; il tegumento corneificato, atto a ridurre la disidratazione, fu poi il "vestito” attraverso il quale i rettili iniziarono il loro cammino sulla terra. 
Tornando alle tartarughe marine, in generale sono animali piuttosto grandi se confrontati con i loro parenti terrestri: la Dermochelys coriacea pesa mediamente cinquecento chili e arriva a due metri di lunghezza; la Caretta caretta arriva anche a centottanta chili, per oltre un metro di lunghezza di carapace; la Chelonya mydas può superare i duecento chili. 
Essere grandi, in un ambiente che non offre grandi possibilità di riparo dai predatori, soprattutto in ambiente pelagico, quel ...[continua]

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