A vent’anni dalla sua pubblicazione quando suscitò non poche reazioni, L’infamia originaria viene oggi ristampato. Qual è l’attualità di un libro come questo?
Da tempo desideravo la ristampa de L’infamia originaria perché è un libro che appartiene alla storia del femminismo, in particolare a quel filone che, pur continuando a produrre riflessioni, scritture e pratiche politiche, successivamente non ha avuto voce. Mi dispiaceva che le donne più giovani, la generazione delle trentenni o ventenni, non conoscessero tutta quella parte del femminismo rimasta in ombra.
La rilettura non solo del mio libro, ma anche di tutti i materiali prodotti in quegli anni, che come sappiamo sono spesso registrazioni di incontri, convegni, quindi parola parlata, riesce ancora ad appassionarmi perché sento che proprio in quella parte non adeguatamente raccontata sono presenti i nodi di alcune questioni ancora oggi centrali. Credo che lì si possano trovare sia delle chiavi di lettura interessanti di ciò che abbiamo vissuto come sconfitta, ma anche spunti per capire cosa fare oggi. Forse da parte mia c’è anche una sorta di fissità: io continuo, dopo anni, a parlare di corpo, di sessualità, quando ormai, anche nei giri del femminismo, non ne parla più nessuno. Anzi le questioni cruciali su cui abbiamo pensato di cambiare non solo noi stesse, ma anche il mondo, suscitano ora uno strano pudore. Ma questo accade perché attorno c’è un’altrettanto strana, a mio avviso, smemoratezza, una volontà di dimenticare che provoca appunto un incomprensibile imbarazzo ogni volta che si nomina qualcosa che allora è stato così vitale per molte di noi.
C’è stata dunque una forma di rimozione delle vicende legate alla nascita del femminismo...
Tutto è cominciato nella prima metà degli anni ’70, ed è durato almeno fino al dicembre del ’76, quando c’è stato il convegno di Paestum, l’ultimo convegno nazionale. In origine c’era stato un convergere delle varie componenti del movimento delle donne sulle tematiche relative al corpo, anche se alcune mantenevano un certo interesse per le problematiche sociali e politiche in senso stretto, le donne più legate alla cultura della sinistra, alla cultura marxista.
Una tale apertura di coscienza imponeva un lavoro teorico e una pratica politica che allora ci accomunava nell’originalità. Era il discorso del personale è politico. Il tema centrale era allora la sessualità. E sessualità voleva dire, appunto, tutte le vicissitudini del corpo, quindi ovviamente anche la maternità e poi l’interiorità, le relazioni, la vita affettiva, lo sviluppo del singolo individuo rispetto alla collettività. Insomma, per sessualità noi intendevamo tutto ciò che è stato relegato nelle vite e nelle storie personali mentre appartiene, invece, alla storia e alla cultura.
Tutto questo aveva creato un interesse comune che si è espresso essenzialmente in due pratiche collettive, l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio. Attraverso un’analisi dei rapporti tra donne nelle varie situazioni collettive, si cercava così di rintracciare le radici profonde della vicenda che ha visto le donne relegate in una zona altra rispetto alla storia, che ha visto insomma l’affermarsi di una società di soli uomini.
Poi dalla fine degli anni ’70 si è creata una divaricazione, da un lato, quello che è stato conosciuto come il pensiero della differenza e che ha avuto una sua teorizzazione nel libro "Non credere di avere dei diritti" della Libreria delle donne di Milano, intorno a cui si è raccolto gran parte del femminismo italiano negli anni ’80. Sull’altro versante, invece, il femminismo che ha continuato a sviluppare quanto intuito nella pratica dell’inconscio, in particolare l’attenzione alle vite singole, alle individualità, al rapporto tra individuo e genere e, quindi, la capacità di leggere anche nei saperi, nei linguaggi, nell’agire sociale e professionale un tessuto che ha a che fare con l’immaginario, coi sogni, con la vita affettiva.
Un ragionare che nel corso del tempo si spostava dalla priorità dei temi specifici del corpo e della sessualità, all’intersezione tra la sessualità e il piano simbolico, culturale e sociale. La rivista Lapis per me, per esempio, ha significat ...[continua]
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