Francesca Caminoli, giornalista, ha lavorato a Milano in quotidiani e periodici fino al 1982, poi si è trasferita a Lucca. Ha pubblicato Il giorno di Bajram, Il Grandevetro/Jaca Book, 1999, e per la stessa casa editrice La neve di Ahmed, 2003 e C’erano anche i cani, 2013.
Negli ultimi anni ha realizzato un giornale in Nicaragua con i ragazzi di strada del progetto "Los Quinchos”, con cui collabora. Il libro di cui si parla nell’intervista è Viaggio in requiem, Milano, Jaca Book 2010.


Guido era un bambino solare, allegrissimo, faceva amicizia con tutti. Quando ci siamo trasferiti da Milano in campagna, vicino a Lucca, è un po’ cambiato: era diventato più fragile, piangeva spesso, a volte faceva dei bruttissimi sogni, con un suo mondo molto immaginifico; un bambino assolutamente normale però, che amava moltissimo stare coi grandi più che con i suoi coetanei. Ad ogni modo col tempo si era fatto le sue amicizie e soprattutto quando è andato al liceo artistico, in città, aveva tutto un suo giro.
Una cosa che ha sempre fatto fin da piccolo era disegnare e dipingere. A 17 anni ha detto che voleva andare a Londra. Ha fatto tutto da solo: ha mandato dei suoi lavori a una nota scuola d’arte di Londra... e l’hanno preso. Non solo: non avendo ancora l’età necessaria, gli hanno dato una borsa di studio, per cui non doveva pagare.
Sì, aveva del talento. Non so se ho fatto bene o male, ho sempre lasciato liberi i miei figli, al punto che dicevo: "Mi raccomando, a 18 anni non voglio che facciate l’università a Pisa che poi state sempre a casa, dovete andare via”. Così quando lui, pieno di entusiasmo, ha fatto questa cosa tutta da solo cosa potevo dirgli? "No, non ci vai”? Quindi è partito tutto contento e però poi a Londra, non s’è mai capito bene, forse anche a causa di qualche droga leggera che oggi però sappiamo essere molto più forte... Insomma, ha avuto una dissociazione. Lui diceva di aver visto la morte passargli di fianco, chiamarlo e dirgli che era meglio seguirla nei momenti in cui stai bene... Col senno di poi, ho ricostruito un suo incubo di quand’era piccolo: sotto casa nostra c’era l’orto, ecco, lui sognava questa figura che, nel buio della notte, con una lanterna, zappava la terra... Comunque, alla fine, per sua scelta, ha voluto tornare a studiare qui. A Londra quello era il periodo dell’arte concettuale, gli dicevano: "Ti devi esprimere...”, e lui: "Ma io voglio ancora imparare...”. Qui si è iscritto all’Accademia a Firenze. Dopo quell’episodio è stato seguito per un paio d’anni da uno psicoterapeuta e, con degli alti e bassi, comunque, si faceva la sua vita.
Fino a quel giorno... aveva 23 anni, tra l’altro era in un periodo in cui sembrava proprio di buonissimo umore... è stato trovato dalla polizia ferroviaria di Pisa lungo i binari del treno.
Io sono stata chiamata da una sua amica: "Guarda, Francesca, ti devo dire che mi ha chiamato Guido, mi sembrava completamente fuori...”. Io lo richiamo immediatamente e mi risponde. Era già negli uffici della polizia ferroviaria. Così sono andata a Pisa. Era un giorno di un traffico tremendo, mi sembrava di non arrivare mai, infatti mi hanno richiamato: "Signora, non so quanto riusciamo a tenerlo ancora...”. "Sto arrivando!”. Quando sono arrivata, s’è fatto prendere per mano, tranquillamente, e siamo andati in macchina. Era veramente turbato, parlava della fine del mondo... Io avevo il terrore che saltasse fuori dalla macchina. In quei momenti, agisci puramente d’istinto: io sono andata a casa, il posto più tranquillo.
In quel periodo Guido viveva con degli amici sul lago Massaciuccoli, dove aveva anche lo studio, però era spesso da me, mi aveva dipinto la casa perché c’ero appena andata ad abitare.
Così siamo andati a casa. Ho parlato con lui. Mi ricordo di avergli detto: "Senti Guido, facciamo una cosa, se è come dici tu, se questa notte ci sarà la fine di tutto, domani mattina non ci si pensa più e siamo tutti sistemati. Se però domani mattina, come io penso, è tutto come adesso, andiamo dal dottore”. Mi ha detto: "Sì, va bene”.
A casa non ho mai avuto sonniferi, tranquillanti, niente, così gli ho fatto una camomilla. Se ci penso adesso mi viene quasi da sorridere. Poi ho chiamato suo padre. Siamo separati, subito dal suono del cellulare, ho capito che era a Londra. Gli ho detto: "Antonio, succede questo e questo... torna subito”. La mattina dopo, appena alzata, ho chiamato un vecchio amico che sta vicino a me, che è uno psicologo, gli h ...[continua]

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