Carlo Donolo, docente di Sociologia Economica all’Università di Roma “La Sapienza”, ha pubblicato, tra l’altro, Sostenere lo sviluppo. Ragioni e speranze oltre la crescita, Bruno Mondadori 2007. L’intervista è stata realizzata prima delle elezioni.

La domanda riguarda i destini della sinistra in Italia…
Già, l’eterna interrogazione sulla sinistra che oggi, nel contesto europeo, forse si può declinare in un’interrogazione sul destino del riformismo. E parto col dire che il riformismo oggi fa parte di uno scenario in disuso. A mio avviso il riformismo è tale se va a toccare alcuni nodi cruciali, che una volta chiamavamo le grandi questioni nazionali. Oggi, invece, si tende a confondere le questioni del paese con le questioni dell’inserimento del paese nei processi globali. Molte cosiddette riforme sono disegnate per permettere all’Italia di adattarsi alla competizione globale. Questo poi ha delle ripercussioni sociali molto gravi, per esempio in termini di disparità territoriale di tipo nuovo e quant’altro, che questo riformismo comunque non copre più. E’ un riformismo, fra l’altro, talora ispirato da quei teorici che hanno propugnato la flessibilizzazione del lavoro, un certo smantellamento del welfare e via andando. Prima si diceva “lib-lab”, adesso si dice “lib” e basta.
Spesso sono riforme suggerite, in qualche caso imposte, dall’Unione Europea: la riforma della Pubblica Amministrazione, oppure il modo di fare le politiche pubbliche, la politica ambientale, la riforma del 3+2 nell’Università, in una logica di modernizzazione del paese, che confina, ma non coincide, con la definizione del riformismo come capacità culturale e politica di individuare, e attrezzarsi poi per trattare, le grandi questioni nazionali.
Quindi in realtà regna, dal punto di vista della semantica, certamente una grande confusione, ma direi essenzialmente un abuso.
E quali sono le grandi questioni nazionali oggi?
Beh, innanzitutto il divario territoriale, Nord- Sud. Anche senza chiamarla questione meridionale, nuova questione meridionale, c’è molto dibattito su questa questione, sulla natura, anche, di “questa questione”, che non è più la stessa di un tempo. Indubbiamente esiste, lì, un nodo di problemi, gravissimo, che, in quelle dimensioni, non esiste negli altri paesi europei. Il Sud non è affatto una regione in ritardo di sviluppo, è una regione che sta sviluppando un proprio modello di crescita, certo, perverso, in cui gli elementi criminali sono fortemente dominanti, e in cui la politica è implicata fino al collo. Quindi non è nemmeno una cosa facile da risanare, perché se una volta, almeno, la classe politica nazionale poteva dire “esiste una questione che però è esterna a me”, adesso non può più dirlo: tu l’hai prodotta, tu ci sei dentro fino al collo, quindi da te che soluzioni posso mai aspettarmi? Questo è il caso calabrese o siciliano, ma anche il caso campano, adesso, coi rifiuti.
Quindi fra le grandi questioni nazionali, indubbiamente questa del divario territoriale, per dirla gelidamente, senza metterci niente di passione dentro, la metterei tra le prime cose. E’ una cosa intollerabile, inaccettabile, che ha delle conseguenze macroscopiche su tutto quello che siamo, anche fuori dal Sud, naturalmente. Il nostro modo di stare nel mondo, in Europa, è fortemente condizionato da questo.
Una seconda grande questione è quella del lavoro, ovvero del modo in cui il problema del lavoro si declina nel contesto italiano, caratterizzato da aspetti che spesso anche dall’estero ci vengono segnalati. In primo luogo la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, pur in crescita nell’ultimo decennio, che però, guardando le statistiche, presenta ancora una grave distanza rispetto agli altri paesi europei e soprattutto rispetto agli obiettivi della strategia di Lisbona. Una distanza ancor più grave nelle regioni meridionali, dove addirittura è molto diffuso il ritirarsi dal mercato del lavoro, quindi un ritorno a vecchi modelli di famiglia, e pertanto una regressione anche sociale e culturale, molto silenziosa, che poi però le statistiche mostrano abbastanza chiaramente. C’è chi sceglie la non occupazione perché rinuncia a cercare lavoro, dato che il lavoro è così difficile da trovare. Poi ci sono, naturalmente, coloro che insistono a trovarlo, e questo alimenta i flussi migratori dal Sud al Nord, che sono ancora notevoli dal punto di vista numerico, soprattutto per quanto riguarda i giovani scolarizza ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!