Una Città n° 162 / 2009

Boxe

Fausto Fabbri - Ravenna, palestra del maestro Bartolomeo Gordini


Il pugilato è una disciplina sportiva molto rappresentata nel cinema, nella letteratura del ‘900 tanto da aver dato vita a dei veri e propri generi come i romanzi o i film sulla boxe. Rimane invece misconosciuto nei suoi aspetti meno spettacolari: la routine degli allenamenti in palestra, la lunga preparazione, inscindibilmente fisica e morale, che prelude ai combattimenti, i riti intimi della vita della comunità di pugili dilettanti di un gym, l’iniziazione alla particolarissima economia corporea, materiale e simbolica che governa questo mondo.
Ma la palestra di boxe non è solo questo; la sua missione tecnica esplicita racchiude anche le funzioni extra-pugilistiche che essa svolge per coloro che la frequentano. La pratica pugilistica, per esempio, in molti contesti urbani, anche all’interno del nostro Paese, allontana dalla strada e funge da scudo contro le pressioni della vita quotidiana. Come un santuario, la palestra offre uno spazio protetto, chiuso, riservato, dove ci si può immergere in una paziente ed accurata preparazione ad una sfida che viene lanciata in primo luogo a se stessi; ma è anche sempre più uno dei luoghi più multiculturali, data l’elevata presenza di pugili di origine straniera e l’intreccio di lingue, generazioni, culture e religioni che nelle palestre italiane si confrontano convivendo nello stesso spazio.
La palestra diventa così una scuola di moralità, vale a dire una macchina per produrre spirito di autodisciplina, attaccamento al gruppo, rispetto dell’altro come di sé e una autonomia della volontà indispensabili allo sviluppo della vocazione pugilistica.
La boxe diventa inoltre per chi la pratica un vettore di debanalizzazione della vita quotidiana, che attraverso un intenso lavoro del corpo offre la chiave d’accesso a un universo inconsueto in cui si intrecciano avventura, orgoglio maschile e prestigio.
(Fulvia Antonelli e Giuseppe Scandurra)