Una Città n° 167 / 2009

Campo rom di Casilino 900, Roma

Luciano Sansone - Campo di Casilino 900, Roma



Nelle periferie delle periferie, in contesti degradati, si incontrano i campi dei rom, i migranti più esclusi tra gli esclusi. Sono il luogo di coloro che non hanno mai avuto alcuna forza di rappresentanza, in fuga ininterrotta dall’emarginazione, dall’intolleranza e spesso dalle aree di guerra. La libertà del movimento e dello spazio ha costituito da sempre la risorsa più preziosa per la vita di questa comunità. Ma il nomadismo è sempre stata associato, secondo il senso comune dei gagè (i non nomadi), a caratteri di comportamento asociale: indisciplina, ozio, furto, sporcizia. Il pregiudizio ha finito per diventare condizione necessitante di esistenza per i rom. Il loro nomadismo, effetto dell’emarginazione, della repressione, si è trasformato in una strategia di sopravvivenza. Per questa ragione i rom si vivono ideologicamente come nomadi e diversi, anche se nella concretezza della loro vita esprimono contraddittoriamente un forte bisogno di residenzialità e di certezze. La crescita dell’urbanizzazione e la conseguente variazione del valore fondiario della terra ha ridotto lo spazio disponibile per i campi rom, spingendoli progressivamente sempre più lontano dalla città verso le discariche o verso altri spazi inutilizzati. I rom sono spesso stati identificati come "nemici” della società civile e verso di loro si sono mobilitati comitati di cittadini. Allontanati dagli alloggi abusivi sotto i ponti o i cavalcavia, i rom sono confinati, come gruppi sgraditi, in campi attrezzati, vere e proprie riserve, espressione di un "abitare inferiore”. La mancanza di politiche di accoglienza e di integrazione esprime l’ideologia del rifiuto, se non una vera "urbanistica del disprezzo” (Brunello,1996). Qual è dunque la tipologia di questi insediamenti? Nel "rom-ghetto” sono i gagè ad imporre l’ordine di sistemazione delle roulotte o delle baracche, predisponendo prese elettriche e canali di scolo e imponendo una distribuzione lungo linee parallele e rettilinee. E’ la logica delle istituzioni militari, anche se formalmente vengono addotte ragioni di carattere igienico-sanitario. La sistemazione è disegnata a tavolino, secondo schemi di efficienza. Anche in questo caso le file parallele servono a trasmettere all’esterno un’idea di controllo. Ma in questo modo l’idea dello spazio del gruppo rom viene del tutto contrastata. La distribuzione spaziale nella cultura rom riflette infatti rapporti di amicizia o di ostilità: la vicinanza o la distanza delle roulotte esprimono relazioni. I campi attrezzati sono invece pensati come spazi di privazione e di alienazione. A volte all’ingresso del campo viene costruito un prefabbricato che rappresenta il luogo del primo soccorso, ma anche questa struttura rimarca ulteriormente il carattere della precarietà. Il campo, di solito, è oltre i grandi posteggi, oltre la cintura dei grandi capannoni industriali, al di là delle immense spianate della periferia. I grandi viadotti dell’autostrada con il loro flusso di automobili, con il rumore continuo, li costeggiano; gli svincoli portano vicino al campo i tir, che trasportano semilavorati. Anche la periferia della città con i suoi casermoni è lontana e nel mezzo c’è il vuoto piatto, sporco dei rifiuti accumulati della città.
Ernesto Venturini