Posposte per quattro mesi dopo il pogrom spaventoso dell’ultimo 7 ottobre, si sono tenute il 27 febbraio le elezioni municipali a Gerusalemme, malgrado la guerra che continua a Gaza, l’esercito infangato, la popolazione palestinese affamata con più di trentamila morti, gli ostaggi ancora captivi e i dirigenti di Hamas sempre latenti.
Quasi il 40% della popolazione nella città vecchia e nei quartieri al nord e all’est della città giordana, annessa a Israele dopo l’occupazione del 1967 assieme anche a molti villaggi, è araba palestinese, formando così la Grande Gerusalemme attuale, con quasi un milione d’abitanti. Il 30% sono ebrei ortodossi manipolati dai loro rabbini e gli altri 30% sono ebrei laici liberali o nazional-religiosi, moderati e relativamente disposti a una convivenza in una città pluralista. Dal 1967 gli arabi di Gerusalemme sono residenti fissi nella città, ma quasi tutti senza avere la cittadinanza israeliana. Quindi hanno diritto di partecipare alle elezioni municipali, ma non a quelle politiche per il parlamento: la loro partecipazione al voto è minima (tra il 2 e il 5%), a causa dell’ordine perpetuo dell’Olp di boicottare le elezioni, per non dare legittimazione all’occupazione e normalizzare la situazione, e anche per le difficoltà tecniche e burocratiche di un Municipio che non è interessato a farli partecipare. Così, da 57 anni, quattrocentomila residenti non sono rappresentati nel Consiglio municipale e non sono trattati i loro gravissimi problemi: assenza di piani di sviluppo, case nuove demolite o sotto minaccia, terreni vicini ai loro quartieri attribuiti a colonie ebraiche, subito pianificate e “legalizzate”, servizi pubblici (fognature, acqua, elettricità, spazzature, educazione ecc...) non adeguati all’aumento demografico, alcuni rioni, con migliaia di abitanti, fuori dal recinto di sicurezza, anche se inclusi formalmente nella città, senza alcun servizio municipale, sottoposti al posto di blocco per ogni loro necessità.
Dal 1967 ad oggi, nel Consiglio municipale è sempre più netta la maggioranza ortodossa, per la loro demografia crescente e il sindaco, ortodosso o religioso, è sempre sottoposto ai diktat dei gruppi ortodossi.
Con un gruppo di attivisti ebrei e alcuni palestinesi residenti a Gerusalemme, abbiamo provato a rompere la situazione bloccata da 57 anni, a far partecipare al voto i residenti di Gerusalemme Est e a far sentire all’interno del Consiglio municipale per lo meno una voce araba (se votassero in massa potrebbero eleggere quasi la maggioranza dei consiglieri). Ci siamo rivolti a tutte le liste laiche o pluralistiche, ma nessuna ha voluto mettere un palestinese a un posto reale. All’ultimo momento abbiamo presentato una lista con otto palestinesi in cima, sotto il nome: “Tutti i suoi cittadini”. La capolista era Sunduk Alhut, araba israeliana nata a Nazaret, da 14 anni a Gerusalemme, insegnante di arabo e di ebraico per le due popolazioni e dopo di lei c’erano dei residenti a Gerusalemme Est, alcuni con cittadinanza israeliana. Abbiamo cercato di convincere dei rappresentanti semiufficiali dell’Olp a sostenere questo tentativo o per lo meno a non reiterare il boicottaggio, che da anni non è riuscito a cambiare la situazione, a terminare l’occupazione e a migliorare la condizione dei residenti arabi. Sunduk ha fatto una campagna audace ed eroica nei quartieri dell’Est, pur avendo subìto delle minacce personali, per convincere la gente a dar voce ai loro problemi e a partecipare al voto. Pare che il suo successo abbia spaventato l’Olp che ha diffuso da Ramallah, negli ultimi giorni prima delle elezioni, l’ordine rinnovato del boicottaggio, tacciando di tradimento chi avesse partecipato al voto. I vecchi impotenti e corrotti attorno ad Abu-Mazen continuano a sperare in un deus-ex-machina tipo Baiden e l’Arabia Saudita, che riesca a imporre la spartizione della città in capitali parallele per lo Stato d’Israele e per quello palestinese. Ma al contrario di Hamas, rivale sanguinoso e fanatico dell’Olp che sottopone i due milioni di palestinesi di Gaza alla terribile tragedia attuale, non fanno nulla per sostenere il cambiamento: il fatto stesso di avere uno o più rappresentanti palestinesi come membri del Consiglio municipale della capitale eterna d’Israele, avrebbe costretto il sindaco a occuparsi dei problemi dell’Est e anche creato uno shock nella politica israeliana, abituata a rinnegare l’Apartheid, in parte formale e in parte d’uso nelle zone occupate come a Gerusalemme Est. Dall’interno del consiglio, anche l’opposizione alla guerra attuale a Gaza e all’occupazione prolungata della Cisgiordania, avrebbe un peso maggiore.
Vi do un esempio pratico di due seggi elettorali che ho seguito di persona. Posizionati in un luogo isolato, lontano da tutti i dodici rioni arabi (forse giustamente date le minaccie rivolte a chi voleva votare) avrebbero dovuto servire 3.763 elettori potenziali. Nel comitato c’erano solo giovani ortodossi (che hanno lavorato secondo le regole, forse anche grazie alla mia presenza). Di arabi ne sono arrivati pochi, quattro hanno votato per la lista di Sunduk. Gli altri, 158, erano tutti residenti ebrei in una nuova colonia ebraica attaccata a un rione arabo. Per chi hanno votato? Quasi il 90% si sono divisi a metà tra le due liste razziste e fanatiche (una anche anti Lgbt), che hanno ottenuto un eletto ciascuna al consiglio di trentun seggi. Pensate quale “coesistenza” si possa sperare tra i coloni ebrei e i vicini arabi! Prima delle elezioni è stato pubblicato il piano di nuove colonie ebraiche accanto a quartieri arabi di Gerusalemme Est.
Nei seggi all’interno o vicini a quartieri arabi in cui c’è stata presenza elettorale, la maggioranza dei voti sono andati per la lista di Sunduk. Ma molti arabi che vivevano fuori del recinto di sicurezza e volevano venire a votare, non sono riusciti a passare il posto di blocco, altri non sono riusciti a trovare il seggio giusto, perché erano stati dispersi tra altri quartieri, gli avvisi di voto non erano stati spediti o non sono arrivati, perché gli indirizzi nei villaggi annessi a Gerusalemme non sono chiari, e anche per altre difficoltà tecniche: così, grazie al boicottaggio e alle minacce dirette ai candidati e agli elettori palestinesi, la lista di Sunduk ha ottenuto solo 2400 voti, dei 6500 che sarebbero bastati per un seggio municipale.
Il consiglio eletto, ha trentun seggi ed è dunque formato da sedici ultra ortodossi, quattro di centro sinistra, tre di centro, due dei nazional-religiosi, due della lista del sindaco, rieletto a voto diretto all’80%, due appunto delle liste razziste e fanatiche, due di una lista periferica di ebrei orientali. Nessuna lista ha incluso nel suo programma i problemi della popolazione araba, mentre invece le due liste razziste vogliono promuovere altre colonie ebraiche in Gerusalemme Est e azioni dette di “sicurezza” per rendere più difficile ancora la vita ai palestinesi e persino facilitare l’entrata di ebrei nella zona delle moschee, anche durante il mese di Ramadan che è alle soglie, cosa che può creare scontri religiosi e nazionalistici.
Pare dunque che anche noi, attivisti, dovremmo affidarci alla pressione internazionale. Fosse vero! Ma continuiamo a lottare in varie direzioni per soluzioni pacifiche e ci prepariamo anche per le prossime elezioni, tra cinque anni.