Può un viaggio turistico di gruppo permettere di fare osservazioni sociali, politiche ed economiche su un paese esotico come il Vietnam, tanto lontano dalla realtà quotidiana in cui viviamo? Probabilmente quanto scrivo potrà essere confutato da chi conosce meglio di me la storia e l'attualità di quel paese. Pur sempre le contraddizioni sono talmente palesi che merita scriverne con punti interrogativi.
Dunque certo sono meravigliosi i paesaggi: la fantastica baia di Halong; i canali e le ripide colline di Ninh Binh; le terrazze di riso sui monti di Sappa; la natura rigogliosa sui rami del delta del Mekong. Sono interessanti le vestigia coloniali francesi a Saigon (Ho Chi Minh city) e Hanoi, e le variate pagode, templi e chiese di tante credenze differenti che pare coesistenti senza tensione. Pensate che ce n'è persino una di cinque milioni di aderenti per i quali uno dei tre profeti principali sarebbe Victor Hugo!
Ovunque sono presenti i ricordi ancora recenti delle sanguinose ed eroiche guerre anticoloniali, la prima contro i francesi, conclusa con la batosta a Dien Bien Fu nel 1954, e poi contro la superpotenza americana, in fuga precipitosa da Saigon e dal Vietnam del Sud nel 1975. Così pure sono onnipresenti gli slogan classici del partito comunista e del governo della Republica Socialista del Vietnam, che impongono di pensare alla vita odierna del popolo liberato dal colonialismo occidentale. È vero che solo nel 1994, dopo vent’anni di un boicottaggio economico pari a quello fatto dagli Usa contro Cuba, l'economia del paese incominciò a riprendersi dalle guerre, incluse quelle con la Cina e la Cambogia. Ma data la natura talmente rigogliosa, la popolazione così produttiva e l'apertura all'economia di mercato e agli investimenti internazionali, come avvenuto in Cina, mi sarei aspettato di trovare un paese molto più sviluppato e soprattutto con infrastrutture che permettano la riduzione della povertà e della stratificazione sociale.
Nel centro di Ho Chi Minh City (Saigon) e della capitale Hanoi domina ancora lo stile pomposo e paternalista coloniale. Malgrado il turismo internazionale molto fiorente, lungo tutto il giro non ho riscontrato frutti di un sistema che dovrebbe assicurare maggiore eguaglianza di diritti e di servizi sociali tra i cittadini. Servizi sanitari, istruzione, trasporti pubblici, alloggio, ecologia, non sono sviluppati: dappertutto si vedono iniziative private per il turismo e l’esportazione, mentre la vita della popolazione locale non sembra goderne altro che briciole. Un esempio illuminante è l'edilizia, con nuovi quartieri che sorgono vicino alle grandi città, con moderni centri commerciali e uno persino con canali e stile veneziano (come a Las Vegas), ma migliaia di appartamenti vuoti, perchè troppo cari per i vietnamiti: questi restano affollati nelle casupole delle piccole fattorie agricole familiari, anche se lontane dai centri industriali e commerciali. Tra queste, in fazzoletti di terra a suo tempo divisi tra le famiglie con la riforma agraria, spuntano stranamente palazzotti stravaganti all’europea, con colonne e arcate, di proprietà dei nuovi arricchiti. Nelle zone più lontane l’agricoltura ancora tradizionale, pur fondata sulla natura rigogliosa, coesiste con espressioni di povertà, come bimbe di soli 4-5 anni che danzano ancheggiando per elemosinare dai turisti e bambini di 6-7 anni che portano a sera tardi, legati sul dorso, bebè di pochi mesi, mentre la madre cerca di vendere cianfrusaglie turistiche. Di giorno greggi di donne e ragazze in costumi tradizionali si affollano attorno ai turisti per vendere oggetti artigianali, scendendo lungo le terrazze del riso, per poi ritornare per sette ripidi chilometri, loro a piedi, noi in automezzi, fin su, e poi da capo con un altro gruppo. Nelle città centinaia di ragazze, relativamente fortunate, fanno massaggi orientali per pochi soldi in innumerevoli locali concorrenti, mentre altre purtroppo lavorano in loschi pub e nella prostituzione palese. Gli indumenti sportivi di marca, cuciti in Vietnam per l’esportazione ma spacciati anche per pochi dollari su tutti i mercati e nei negozi per turisti, rivelano così l'industria tessile fiorente grazie allo sfruttamento di donne, fanciulle e bambini.
Persino l’ecologia non sembra essere difesa dal sistema, malgrado i dati naturali che sembrano molto favorevoli. Vi dò un solo esempio: Saigon è invasa continuamente da milioni di motorette, con un inquinamento terribile che costringe tutti a portare maschere sul naso e la bocca. Tra le infinite motorette ne ho vista solo una elettrica, mentre da noi le bici elettriche hanno in pochi anni conquistato il mercato, riducendo così lo smog, assieme agli autobus pubblici elettrici sempre più numerosi: mentre pare che molte delle bici elettriche siano montate lì, ma solo per l’esportazione.
L’impressione è che il partito unico di governo (socialista? comunista?) usi le tasse e gli introiti dalle fiorenti imprese capitaliste neo-coloniali solo per mantenere il proprio apparato monopolistico, l’esercito e la burocrazia, corrotta, d’origine coloniale, che garantisce bene o male il funzionamento del paese. Anni fa, in un viaggio simile in Cina, mi era sembrato che lì gli introiti del boom economico, dopo l'apertura al mercato di libera iniziativa, mantenessero sì il potere centrale del partito, le forze dell'ordine totalitario e l'enorme esercito neo-imperialista, ma per lo meno in parte fossero investiti nel rapidissimo sviluppo delle infrastutture che permettono un futuro migliore e maggiore mobilità sociale anche a certe masse e classi meno favorite: trasporti, treni, strade, aeroporti; educazione e università pur sempre sulla base di quella meritocrazia ereditata dalla tradizione imperiale; e infine e soprattutto edilizia, con quartieri e città nuovissime con piccoli appartamenti in elevati edifici che spuntano come funghi e sono immediatamente abitati dalle nuove classi medie emegenti. Similmente, a Cuba si vede che per lo meno i sistemi sanitario ed educativo perseguono ideali egalitari malgrado le gravi difficoltà economiche prodotte dal blocco americano, ancora parzialmente effettivo, dall’apparato totalitario governativo e dall’isolamento dopo la fine dell'impero sovietico.
Insomma, quello che mi rattrista è che adesso, con l’economia nuovamente sottoposta al mercato globale neocoloniale, nulla pare sia rimasto in Vietnam dell’eroica, sanguinosa e gloriosa lotta anticoloniale, eccetto l’indipendenza formale, gli slogan del partito e il ricordo dell’umiltà e modestia quasi ascetica di Ho Chi Minh. E così pure nulla è rimasto degli ideali di giustizia sociale e di eguaglianza che avrebbero dovuto essere alla base del socialismo più o meno marxista. Nello stesso modo non si ritrova nulla degli ideali delle rivoluzioni francese e americana tra i resti dell'epoca coloniale ancora presenti in Vietnam: infatti i francesi, per esempio, riuscirono sì a cambiare l'alfabeto locale di origine cinese in quello latino, ma le baguette buone in Vietnam non si trovano proprio, e neppure l'Egalité di buona memoria.
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