Nel ricordare don Lorenzo Milani non ci si deve abbandonare alla retorica delle vuote emozioni o spendere o abusare di parole che la sua intelligente semplicità non avrebbe accettato.
La sua figura, la sua vocazione, la sua testimonianza di sacerdote, la sua scuola diventata emblema di un metodo educativo discusso e ammirato, hanno tracciato solchi profondi nella storia del nostro paese.
Tanti hanno ripreso in mano i suoi libri in occasione del centenario (1923) della nascita: la Lettera a una professoressa e il volume dedicato alla contestazione dei cappellani militari intitolato L’obbedienza non è più una virtù. Ma forse sarà meglio soffermarsi a rileggere il suo volume più agguerrito e più serenamente coinvolgente: Esperienze pastorali.
Il libro ci guida in un contesto sociale nel quale il povero, ma intelligente parroco di campagna deve testimoniare comportamenti eticamente sostenibili.
Non si parlava allora di consumismo. Le tracce della miseria assediavano città e paesi. Ma don Milani spiegava la distinzione tra il ruolo del prete e quello del commerciante (figura allora identificabile, oggi esiste solo il Super Mercato, senza il volto del padrone).
Spiegava don Milani: “Dicesi commerciate colui che cerca di contentare i gusti dei suoi clienti. Dicesi maestro colui che cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti. Lo schierarsi di qua o di là da questa barriera è per il prete decisione ben grave”.
Doveva combattere con stili di vita lontani dalle suggestioni di un arricchimento culturale e predicava: “La chiesa, con l’imporci un vestito nero, intendeva che la sola vista del prete richiamasse alla mente pensieri di sacrificio, di mortificazione delle vogliuzze terrene, di ricerca delle gioie dello spirito e del premio in Paradiso. Non è questa l’immagine che ha del prete un ragazzo di San Pancrazio, paese nel quale l’unico bar è quello della parrocchia e quindi nella mente l’accostamento di idee più spontaneo è questo ‘Prete uguale gelato’. Su questa immagine la tonaca nera stona. Conviene dunque o adottare tonache variopinte o abolire il bar”. Molto simpatico il parroco di Barbiana.
L’ironia era la sua forza: “Non è bello educare i ragazzi a spendere senza motivo e per il proprio piacere. Sarebbe facile abituarli a spendere in opere buone o in acquisti utili. Grave è lo spendere, quando i soldi li ha guadagnati il babbo oppure quando un compagno presente non può spendere altrettanto”.
Era moralista se criticava le accese discussioni sul tifo sportivo? “Discussioni scalmanate, interminabili, quotidiane, sempre uguali, tra persone che hanno famiglia. Perché -si interrogava don Milani- non gridano allo stesso modo ai figli ‘studia, lavora’ e al governo e al datore di lavoro ‘non mi calpestare’?”.
Appassionate sono le pagine nelle quali traccia itinerari irriverenti sui modi nei quali viene pensata la religione.
1. La religione è roba da ragazzi. 2. La religione è roba da donne. 3. Il peccato originale sull’anima fa meno male di una infreddatura. 4. La confessione serve per fare la comunione, lo stare in grazia di Dio non è dunque un problema quotidiano. 5. La comunione non è un dono ma un obbligo. 6. La comunione serve per celebrare le feste. 7. La religione è solo un adempimento di rito e non comporta impegni di vita. 8. La religione nel suo complesso è fatto di insignificante portata: non vale quanto una buona dormita, non vale quanto l’opinione degli altri su di noi, non vale quanto il denaro. 9. L’olio santo è un sacramento spaventoso. La morte stessa è un salto nel buio”.
“Il più bravo predicatore non potrà scalfire -scrive don Milani- concezioni monumentali e secolari come le nove che abbiamo elencato”. Cosa propone don Milani? Superare visoni negative del cercare religioso, intervenendo sul livello culturale e intellettuale delle persone, quello che don Milani preferisce chiamare “il nostro popolo”. Oggi alle note critiche di don Milani si potrebbe aggiungere qualcosa che la sua semplice dottrina ha donato, come riflessione persuasiva, non solo alla comunità dei credenti cattolici. Allora queste tematiche avevano robusto edificio di pregiudizi. E quante sofferenze furono provocate a don Lorenzo che nel voler essere testimone fu di forza martire (le due parole hanno filologicamente valenza uniforme).
Con una preveggenza straordinaria don Milani chiedeva che i programmi dei seminari venissero confortati da un confronto con la realtà del mondo dei poveri e che i giorna ...[continua]

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