12 aprile 2004
Era cominciato un nuovo assedio, feroce, senza risparmio di armi e di vite di civili. Quando ormai Komsomolskoe era praticamente raso al suolo e Gelaev e una parte dei suoi se l’erano miracolosamente svignata nonostante i numerosi cordoni di sicurezza intorno al villaggio, i federali proposero ai combattenti rimasti di arrendersi, con la promessa di un’amnistia. La ottennero in settantadue, come ufficialmente dichiarato dal comando nel marzo del 2000.
Settantadue persone vennero amnistiate. E prontamente arrestate. Solo tre famiglie sanno dove sono i loro cari, gli altri non sono mai tornati a casa. Sul video gli “amnistiati” vengono scaricati da due camionette e fatti salire su un vagone merci alla stazione cecena di Cervlennaja. A girarlo sono alcuni ufficiali delle truppe speciali del ministero della Giustizia russo.
L’unico possibile paragone è con i film sui lager nazisti. Soldati con i mitra spianati lungo una collina alle cui pendici corrono i binari della ferrovia. Un treno. Militari che tengono sotto tiro chi viene spinto fuori dalle camionette. Tra i prigionieri si riconoscono due donne: hanno ancora i vestiti addosso e, a differenza degli uomini, non sono state picchiate. Vengono subito separate dal resto del gruppo. Gli altri sono maschi, adulti e ragazzi (si distingue chiaramente il viso di un ragazzino di quindici-sedici anni). Li spingono giù dai camion, oppure sono loro a saltare a terra. Tutti quanti sono in pessime condizioni, alcuni vengono portati a braccia dai compagni. Quasi tutti sono feriti. A qualcuno manca un braccio o una gamba, un altro ha un orecchio penzoloni (“Guarda quello! Non gliel’hanno staccato del tutto, l’orecchio” commenta una voce fuori campo). Molti sono completamente nudi, scalzi, insanguinati. Scarpe e vestiti vengono scaricati a parte. Sono tutti denutriti. Molti si muovono come sonnambuli, senza capire che cosa sta succedendo. Molti sembrano pazzi. I soldati li picchiano, ma non troppo forte, per inerzia quasi, per un qualche riflesso condizionato. Non si vedono medici. Ai più forti fanno scaricare i cadaveri di chi è morto durante il tragitto. Alla fine del video accanto ai binari si leva una montagna di corpi di “amnistiati”. Un particolare salta agli occhi: i federali non toccano mai i combattenti con le mani. Solo con gli stivali o con il calcio dei mitra. Il loro è ribrezzo. Girano la faccia dei cadaveri con la punta degli scarponi. È curiosità, curiosità pura, la loro, perché non c’è nessuno che scriva, registri o compili dei certificati di morte. Non ne parlano nemmeno, perché l’audio è chiarissimo. Alla fine del video, per esempio, si sentono dei federali che commentano ridendo: “Avevano detto settantadue, invece sono settantaquattro... Vabbè, tutto grasso che cola...”.
Ma veniamo alle conseguenze della pubblicazione di quella che è stata la nostra Abu-Ghraib. Niente. Nessuna reazione. Da parte di nessuno: opinione pubblica, mass media, procura...
Anna Politkovskaja, Diario russo, 2003-2005 (Adelphi, 2007)
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