Il poeta Franco Loi , morto a gennaio pochi giorni prima di raggiungere i novant’anni, elaborava i suoi versi in uno splendido e arrotante dialetto milanese ( in realtà era nato a Genova) ed era un uomo di grande, generosa umanità. Ma sapeva anche conciliare la sua creatività con sapiente dose di interpretazione critica dei problemi culturali che lo circondavano. Occorre dire che gli artisti quanto più sono grandi, tanto più si rivelano ricchi di pensiero e il pensiero in ogni loro forma è critica, perché pensiero e critica sono sinonimi e un pensiero che non criticasse nulla sarebbe pensiero vuoto, inconsistente. Il vigore di pensiero e il nerbo critico che sono nella poesia di Franco Loi si riverberano nei momenti ineliminabili della sua intelligenza logica e giudicante. Loi quando prendeva la penna in mano per esprimere la sua visione del mondo con immaginazione, gusto e capacità creativa lasciava tracce con le quali con vigore di pensiero stimolava riflessioni ricche di genialità. È il caso della sua avversione nei confronti della poesia di Pier Paolo Pasolini. Incurante dei giudizi di Alberto Asor Rosa, che parlava di Pasolini come di un “illuminista carnale” e che dava a Pasolini il merito di avere cambiato la situazione poetica e letteraria del dialetto che è assurto al ruolo di “lingua poetica”, Franco Loi non fa sconti nel rileggere l’edizione completa dell’opera Bestemmia (Garzanti, 1993) del poeta friulano.
“Sono troppi coloro che ammirando Pasolini polemista -scrive Loi in una recensione al volume apparsa sul quotidiano “il Sole 24 ore” del gennaio 1994- e vedendo con favore la sua apparente trasgressività hanno voluto crederlo anche un grande poeta. Anch’io sono stato tra quelli, ma rileggendolo ora posso dire puntigliosamente che l’intera sua statura poetica e intellettuale va ridimensionata”.
Nel suo rigore ingenuo e severo, Franco Loi imputa a Pasolini di “scrivere con un andamento monocorde e con una bivalente inclinazione: la storico civile e la lirica amorosa. Ma in Pasolini  travalica una ubriacatura narcisista e un ‘cogliere dal di fuori’ che arrivano raramente alla dannunziana sublimazione. La struttura stilistica è data dal tono conversativo, un incessante ron-ron, un sovente polemico sciorinare parole argomentate sulla cronaca degli eventi, interpretati dai giornali, introducendo personali memorie e private vicende in una sensuale nota di malinconia, sempre uguale. Frammezzo a un gorgo sessuale tra rimorsi e colpe che richiamano all’ossessione, allo stordimento e al gioco con la morte”.
Eppure sempre Asor Rosa aveva nobilitato Pasolini e la sua poesia dialettale come confortante supporto per esempio di Amedeo Giacomini e proprio dello stesso Loi . “Il fenomeno di alcune lingue dialettali -scrive Asor Rosa- che sopravvivono alla progressiva decadenza delle corrispondenti comunità dei parlanti in dialetto, non sarebbe stata possibile senza l’altissima coscienza culturale indotta dall’esperimento pasoliniano e dalla sua riflessione teorica”.
Ma impietosamente a Loi non interessano i meriti sociologici attribuibili a Pasolini. Pervicacemente gli interessano solo la bontà estetica dei suoi versi, che sono coacervo di contraddizioni, che non riescono a diventare arte. Difende Loi la bontà della poesia friulana del poeta di Casarsa, ma con dei distinguo: “Non c’è troppa differenza di registro tra Pasolini friulano e quello italiano. Semmai il dialetto è di qualità nettamente superiore -a volte si danno piccoli capolavori di stile- ma nel suo dialetto manca il coro, “il noi” caratteristico di ogni lingua di comunità e di esperienza orale”.
Franco Loi leggeva con attenzione Pasolini, non ne accettava la disfatta pervicace del suo intellettualismo e di tutta la sua ideologia, che invece offrono al pensiero del friulano profetiche anticipazioni sul mondo nel quale viviamo. Contesa tra poeti che stimola una rilettura di entrambi: Pasolini votato a una complessità sociale che nella poesia forse ha dato i suoi esiti più fragili e Franco Loi che al verseggiare dava invece il senso di una solitudine umile e introspettiva. Nel paradiso dei poeti avranno di che contendere.