Un piccolo itinerario nel campo profughi di Karà Tepès a Lesbo, in un periodo particolarmente difficile a causa della pandemia, dell’inverno, ma soprattutto dell’atteggiamento inflessibile dello Stato nei confronti dei flussi migratori.
Servizio di Thodorìs Andonòpulos per il sito di notizie greco lifo.gr

3 febbraio 2021, ore 9:52
“Nessuno lascia la propria casa e il proprio paese a meno che non li veda trasformarsi nella bocca di uno squalo”. Con questo verso della poetessa britannica di origine somala Warsan Shire in mente, sono arrivato a Mitilene una gelida mattina mentre un sole malato cercava di asciugare la terra dalle forti piogge che avevano causato inondazioni e problemi sull’isola.  Gravi problemi si erano creati anche a “Moria II”, il nuovo campo profughi nell’ex poligono di tiro di Karà Tepès, due chilometri a nord della città, a conferma del detto popolare sui poveri (o i perseguitati, di solito le due cose vanno insieme) e il loro destino. Le immagini e le voci che provenivano da lì mostravano tende allagate, fanghiglia, che in alcuni punti arrivava al ginocchio, e freddo, molto freddo, perché il riscaldamento, come l’elettricità, sono un lusso. Voci e immagini praticamente illegali, perché con il pretesto della pandemia viene ostacolato l’accesso dei giornalisti, come anche la diffusione di foto o video da parte dei residenti nel campo, con la minaccia di rompere il cellulare “colpevole”, come riportavano la denunce. “Scrivi qualcosa... la situazione è drammatica... alla prossima nevicata potremmo avere dei morti”, era stato l’ultimo messaggio che avevo ricevuto.
Arrivando lì, avrei visto tutto ciò con i miei occhi: donne e uomini che cercano di asciugare i loro corpi e le loro poche cose approfittando del sole invernale, alcuni che provano a rinforzare le loro tende con pezzi di truciolato, bambini che giocano in mezzo al fango e alla terra tutt’intorno, operai e macchinari a scavare fossati e terrapieni, per rabberciare in qualche modo le infrastrutture ancora pressoché inesistenti.
E polizia, molta polizia dentro e fuori, proprio come in città -l’unico servizio che abbiamo in abbondanza in questo paese. Controlli severi su tutto ciò che veniva portato dentro in sacchetti, fagotti o sacconi da chi aveva il permesso di circolare -perché il campo è in lockdown da mesi ormai, dato che i casi a settembre erano arrivati ​​a 250, per lo più asintomatici- mentre oggi sono azzerati, grazie anche alla sensibilizzazione degli stessi profughi.
Sostanzialmente tutta l’isola era in rigoroso lockdown dall’inizio di gennaio, perché il virus si sta propagando nella comunità locale. Dopo le cinque di pomeriggio chiude tutto ed è come se il campo fosse a sua volta circondato da un campo più grande, con restrizioni e regole che ricordano anch’esse una prigione a cielo aperto.
Solo che la “grande” prigione a cielo aperto è temporanea, mentre questa ha un futuro davanti a sé, e non solo a Karà Tepès. “Moria III” è già in cantiere a Mystegnà, quaranta chilometri a nord, in mezzo al nulla e con l’adiacente discarica come più vicino segno di civiltà. La sua costruzione era stata sospesa lo scorso anno di questi tempi, dopo la massiccia reazione degli isolani e gli incidenti con i reparti antisommossa venuti da Atene, ma le autorità, approfittando dello stato di emergenza, stanno già trasportando alla chetichella materiali edili sul posto. Il sindaco di Mitilene parla ormai di “svolta verso il realismo”, mentre i media locali riferiscono di “accordi sottobanco”.
L’agronomo forestale Babis Pètsikos, membro di Lesvos Solidarity, sottolinea che oltre al rischio sanitario aumenta anche il rischio di incendio, poiché il sito confina con la più grande pineta dell’isola. La nuova struttura sarà più chiusa, più rigida, più isolata, e il ​​Ministro della migrazione, Notis Mitarakis, ha pure annunciato un progetto analogo per Chio. Nessuno, naturalmente, sa quando saranno realizzate queste strutture, dove tutti quanti saranno infine “ingabbiati” fino a quando non sarà approvata la loro domanda di asilo, proprio come “Moria I”, che era temporaneo, in teoria, ed è durato cinque anni.

La strada che da Mitilene
porta a Karà Tepès
ll campo allestito in fretta e furia a Karà Tepès, dopo il grande incendio di Moria sembrava, nelle foto da cartolina distribuite allora ai media, un campeggio estivo in riva al mare, ma la realtà è molto meno idillica, nonostante i sette milioni di euro spesi finora a tale sco ...[continua]

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