Cronache e dati d’agosto
Se è vero che il mese di agosto viene tradizionalmente associato all’immagine di masse di persone in movimento, anche quest’anno verrà ricordato per eventi legati alla mobilità. Ma più che descrivere un popolo di vacanzieri, felicemente in moto alla ricerca del sole o della quiete dei monti, le cronache dell’agosto 2015 tendono a evocare quotidianamente un tipo di mobilità che ha spesso risvolti drammatici: ci raccontano di sbarchi e di fughe dalla paura o dalla miseria; ci sensibilizzano sul bilancio di quanti non ce ­l’hanno fatta; danno conto dei progetti di chi ha accarezzato, talvolta illudendosi, il sogno di una vita diversa e migliore in un nuovo paese.
Tutto ciò viene puntualmente documentato grazie al supporto di una varietà di fonti statistiche che mettono costantemente a disposizione i dati per valutare e per confrontare le tendenze in atto, così da coglierne gli sviluppi ed evidenziarne gli aspetti più problematici. Ecco allora che mentre, da un lato, Eurostat rende noto che nel corso del primo semestre del 2015 si sono accumulate ben quattrocentomila richieste d’asilo nel complesso dell’Ue -centosessantamila in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+66%)-, dall’altro Frontex informa che i clandestini "intercettati” alle frontiere comunitarie nel solo mese di luglio hanno superato le centomila unità, mettendo a segno un incremento complessivo di oltre duecentomila casi rispetto ai primi sette mesi del 2014 (+175%). E le due segnalazioni si allineano perfettamente al dato del Ministero dell’Interno sull’ulteriore crescita degli immigrati sbarcati in Italia: +11% nei primi sette mesi dell’anno.

Dal messaggio dei numeri…
Come si vede, gli indizi concordano, e il linguaggio dei numeri sembra accreditare un messaggio forte e chiaro: la pressione migratoria verso l’Unione Europea è continuamente in crescita. E l’Italia, che nel corso di questi anni ha fatto da molo per l’attracco dei barconi colmi di disperati spesso diretti altrove, verrà sempre più chiamata a operare in prima linea su un fronte, quello del Mediterraneo centrale, che deve la sua problematicità non solo al caos che regna nei territori che agiscono da principale base di partenza dei flussi verso il nostro paese, ma ancor più all’enormità del bacino demografico da cui tali flussi traggono origine. Perché se è vero che i venti di guerra che spingono le settantamila richieste d’asilo dei siriani registrate nel complesso dell’Ue nei primi sei mesi del 2015 -così come le trentottomila degli afgani o le ventunomila degli iracheni-, prima o poi smetteranno di soffiare (ci si augura), non sarà la stessa cosa per il profondo Sud del Mondo. È opinione comune che l’Africa, quella sub-sahariana in particolare, potrebbe non solo non allentare la pressione migratoria sul fronte europeo, ma persino accrescerla nei prossimi decenni. Oggi a sud del Sahara vivono 962 milioni di persone, destinate a diventare 1,2 miliardi tra dieci anni e 1,6 tra altri dieci. Secondo le più recenti previsioni delle Nazioni Unite, nel complesso dell’area i 20-39enni si accresceranno di 203 milioni nell’arco di un ventennio: troveranno sufficienti occasioni di lavoro in loco o accarezzeranno l’idea della fuga altrove? D’altra parte, in un mondo che vogliamo sempre più libero e interconnesso, come sarà possibile, nel rispetto della dignità umana, frenare le legittime aspirazioni a una vita migliore da parte di milioni di giovani ormai ben consapevoli delle opportunità che potrebbero trovare spingendosi oltre il confine del Mediterraneo?

…alle scelte strategiche
Ma al tempo stesso, fino a che punto l’Europa del 2035, quand’anche un po’ meno affollata (10 milioni di abitanti persi in vent’anni nel complesso del continente) e decisamente meno giovane (37 milioni di venti-trentanovenni in meno), potrà realmente essere in grado di assorbire senza rischi di rigetto una forza d’urto come quella che andrebbe prospettandosi se la spinta demografica africana dovesse contare unicamente sulla valvola di sfogo dell’emigrazione?

Sono tutte domande che forse oggi non trovano adeguata risposta, ma che è opportuno non vengano rimosse. Perché se ora è lecito sostenere che qualche centinaio di migliaia di persone in più non possono non trovare spazio tra mezzo milione di cittadini dell’Unione Europea, gli scenari per il futuro mettono in campo numeri certo ben più difficili da far quadrare. Poiché "prevenire è sempre meglio che curare”, occorre fare in modo che il ricco capitale umano dell’Africa non sia sminuito da un’emigrazione spesso dequalificata, ma venga valorizzato -magari con azioni di formazione- per diventare un fattore di sviluppo nella propria terra. Questo non è solo un ideale di giustizia, è anche una strategia intelligente e conveniente per il futuro della stessa Europa.
Gian Carlo Blangiardo

Articolo pubblicato su neodemos.it col titolo "L’assedio dei profughi: prevenire è meglio che curare”.