Ho scritto questo testo perché venisse letto pubblicamente il 12 dicembre 2020, giorno del saluto a Luigi Mariucci (non potendo io essere presente, lo ha letto Rita Bonaga). In seguito, mi sono arrivate lettere e altri ricordi, che ho utilizzato in questa stesura per “Una città”, lievemente ampliata (Gianni Sofri).

Vi chiedo scusa. Questo testo vi apparirà come un penoso tentativo di raccogliere alcuni ricordi da parte di un vecchio la cui memoria ha già scelto da tempo di ritirarsi. E poiché ho sempre sentito dire che i vecchi ricordano semmai qualcosa dei tempi più lontani, proverò a cercare, almeno all’inizio, qualcosa di lontano.
Non saprei dire con esattezza quando conobbi Gigi. Potrebbe essere stato persino il ’68, o più probabilmente il ’69. Era, allora, uno studente fuori sede, avendo fatto ottimi studi liceali a Forlì, dove la sua famiglia si era trasferita da Sansepolcro (qui Luigi era nato nel ’47) alla metà degli anni Cinquanta: un’ascendenza toscana sempre rivendicata.
A Forlì aveva lavorato, insieme a Bruno Giorgini e a un gruppo nutrito di altri giovani, a fondare un nucleo locale di Lotta continua, poco dopo la nascita di Lotta continua nazionale a Torino, con contributi pisani, nell’autunno del ’69. Di recente Gigi Mariucci e Bruno Giorgini hanno depositato un fondo di archivio sull’attività di Lotta continua di Forlì presso l’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Forlì-Cesena.
Ricordo che la prima impressione che Luigi mi dette al suo arrivo fu quella della sua notevole preparazione culturale. Si laureò in diritto del lavoro con Federico Mancini nel 1971, e poco dopo la sua tesi ottenne un importante premio della Fondazione Giacomo Brodolini per la migliore tesi sullo Statuto dei lavoratori, varato un anno prima. Fu quasi un atto simbolico di quella che sarebbe stata la sua carriera di studi e di impegno politico negli anni successivi e per tutto il resto della sua vita: una carriera di ricercatore e di professore, di consulente dei sindacati, di difensore accanito dei diritti dei lavoratori (ma anche, dal 1990 e per un decennio), di consigliere e poi di assessore della Regione Emilia-Romagna, con Bersani, La Forgia, Errani.
In occasione del premio alla sua tesi (così mi pare di ricordare) conobbi suo padre, Ado, persona colta (era professore di filosofia), di straordinaria simpatia e ironia. Ci trovammo subito bene perché per età io ero quasi a metà strada fra la sua generazione e quella dei ragazzi “del 68” che frequentavo parecchio, e con vera partecipazione. Ado era repubblicano, da ben prima di trasferirsi a Forlì, dove poi incontrò la ben nota tradizione del repubblicanesimo romagnolo. Anche Luigi aveva mosso i suoi primi passi in politica, poco più che un ragazzo, come repubblicano. Cosa che era a volte oggetto di un’ironia, peraltro assai bonaria, da parte di qualcuno dei suoi compagni (i più “critici critici”, da posizioni di sinistra al di là della sinistra). In realtà, era stimato e ascoltato. Credo che lo fosse anche perché si era capito presto che era un buon conoscitore e praticante della politica, con il gusto della sua storia e delle sue regole, che si poteva anche voler rovesciare, ma solo conoscendole e usandole. Ecco, io penso che accanto all’importanza dello studio e della cultura, appunto l’importanza della politica sia stato il suo secondo contributo a Lotta continua di Bologna (e anche, mi permetto di azzardare, alle altre formazioni politiche e istituzioni con cui ha lavorato in anni successivi). E aggiungo che è probabile che la stessa militanza tra i repubblicani forlivesi sia servita un po’ a questo.
Ado seguiva la trasformazione graduale di suo figlio Gigi da adolescente repubblicano a giovane esponente di un’epoca che comunque oggi la si giudichi fu un’epoca che malgrado alcune sconfitte lasciò il segno (non solo in politica, ma anche nella società, nel costume e nelle idee). Lo faceva con un atteggiamento un po’ diviso. Da un lato, da buon repubblicano militante, criticava queste nuove esperienze di Gigi e dei suoi coetanei, dall’altro usava un’ironia benevola e non nascondeva una crescente curiosità per un panorama così nuovo e in movimento.
In questi giorni, Massimo Tesei mi ha ricordato che il 20 settembre del ’68 ci fu a Forlì una manifestazione per il Vietnam, che poi si trasformò in un’assemblea popolare e in un’occupazione del salone comunale. Gigi vi partecipava rappresentando la Federazione giovanile repubblicana, di cui era un dirigente nazionale, e fu proprio lui a tenere un appassionato discorso che portò all’occupazione. Due giorni dopo fu espulso dal Partito repubblicano. Tesei incontrò suo padre, e lo trovò indignato perché il Partito lo avesse fatto senza sentire il bisogno di un confronto con Luigi, e neppure quello di telefonare a suo padre. Poco dopo abbandonò il Pri e passò al Pci.
Anche Giorgini, come molti altri giovani forlivesi di allora, ricorda il giorno della manifestazione per il Vietnam e il discorso di Luigi, coraggioso ed equilibrato in nome dei diritti dei cittadini e della resistenza passiva. Luigi fu poi per anni uno dei dirigenti di Lc più riconosciuti della Regione. Ne uscì, dopo un aspro dibattito, e un suo intervento che molti ricordano come drammatico, qualche mese prima che lo stesso movimento si sciogliesse nel 1976. Rivendicando, contemporaneamente, la scelta del riformismo e il suo essere sempre un militante del movimento operaio.
Non ho voluto qui ricordare i viaggi di studio di Mariucci all’estero, le sue successive destinazioni accademiche, i suoi libri: le sue biografie ne sono piene. Ricordo invece, non senza commozione, un suo contributo recente sul sito di “Strisciarossa”. Diversamente da tanti intellettuali che si lasciano andare alle fantasie più stravaganti, e spesso irresponsabili, su come sarà il futuro post-pandemia, Luigi invitò a pensare più concretamente a cinque cose che la pandemia sta già cambiando (e probabilmente per un lungo periodo) in più campi: dalla fede (e dalla presunzione) sui rapporti tra tecnologie avanzate e natura alla riscoperta del lavoro (e dei diritti dei lavoratori), dalla rivalutazione della politica al ripresentarsi delle lotte per la sovranità fra centro e periferia, tra governi nazionali e regioni e istituzioni sovranazionali. Sembra un ritratto del suo modo di pensare e di lavorare.
Luigi aveva con suo padre un legame molto forte, che restò tale fino alla scomparsa di lui nel 1981. Leggendo l’ultima frase del bellissimo ricordo che Lorenzo Mariucci ha dedicato su Facebook a suo padre, mi convinco che Gigi avesse trasmesso a lui questo legame. E benché Lorenzo abbia conosciuto il suo nonno paterno, nonno Ado, solo per un anno o poco più, questo legame passa ora attraverso le generazioni. E mi consola e mi dà fiducia pensare alla presenza affettuosa di Lorenzo accanto alla sua mamma Maria Clara, che fu per me preziosa collaboratrice, oltre che amica, in un tempo di buoni ricordi della mia vita di insegnante. Un abbraccio a mamma e figlio, Gianni