Il virus Covid-19 ha messo sicuramente a dura prova una marea di persone che hanno contratto il virus, che si sono ammalate o che, ancora peggio, ne hanno subito danni irreversibili (se non addirittura decedute, e in questo caso le piangono i superstiti). Ora, con una situazione sanitaria relativamente più stabile (non quella sociale, pregna di contraddizioni e differenze), sta montando un altro problema, quello relativo a quei casi in cui, a seguito del riconoscimento dell’evento di contagio quale infortunio sul lavoro tutelato dall’Inail, qualcuno si sta ponendo il problema se sia possibile valutare una responsabilità a carico del datore di lavoro, e ciò anche a prescindere da un accertamento in sede penale: rammentiamo infatti che la possibilità di agire in sede civilistica per il risarcimento del danno esula da un avvenuto e certo accertamento in sede penale laddove il fatto-reato sia comunque obiettivamente valutabile davanti al giudice (del lavoro, per i danni diretti, e civile per i danni indiretti o degli eredi in proprio -iure proprio). Ciò in quanto se è vero che il datore di lavoro non può essere sempre riconosciuto responsabile per gli infortuni avvenuti ai dipendenti in azienda, lo diventa però quando il sinistro sia riconducibile a un suo comportamento colpevole, collegato alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza imposto da norme di legge, ovvero, desumibile dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Recita infatti l’art. 2087 del Codice Civile (che ad onta di dove è contenuto, il Codice Civile, si vede regolarmente citato in ogni condanna penale): “Tutela delle condizioni di lavoro. L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” Bene, il D.L. n. 18/2020 art. 42 co. 2 ha previsto che l’infezione da Coronavirus debba essere considerata infortunio sul lavoro (“nei casi accertati di infezioni da Coronavirus in occasione di lavoro…”), e l’Inail ha prontamente emesso una circolare esplicativa (la n. 13/2020) al fine di tutelare al meglio tali situazioni.
Ma… questo appunto non esenta il datore di lavoro da responsabilità, in forza appunto della normativa generale che fa riferimento all’art. 2087 citato e che prevede specificatamente che il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche è punibile ai sensi dell’art. 40 del Codice Penale per i reati di lesioni (art. 590 c.p.) o, addirittura di omicidio colposo (art. 589 c.c), peraltro aggravato per violazione delle norme antinfortunistiche. Sul punto il legislatore nel corso di questi mesi ha imposto a tutte le imprese che non avevano sospeso l’attività a quella data di approvare e osservare il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” previsto dall’art. 2 co. 6 Dpcm 26/04/2020. Avere rispettato o meno con puntualità e precisione tale protocollo può essere determinante.
A fianco di questo problema, di carattere generale e contrattuale (sulla base cioè degli obblighi reciproci derivanti dal contratto di lavoro stipulato tra datore di lavoro e lavoratore), c’è un’altra rilevante questione che potrebbe essere fonte di contenzioso in futuro, relativa alla eventuale richiesta di risarcimento del danno da “emergenza”, per responsabilità professionale, vale a dire in applicazione dell’art. 7 l. 24/2017, che prevede che l’operatore sanitario dipendente o strutturato nell’ospedale o nella clinica risponde del proprio operato in base all’art. 2043 del Codice Civile (si parla in questo caso di responsabilità extracontrattuale o da fatto illecito), a differenza di quella dell’Azienda sanitaria (concorrente) che rimane di natura contrattuale. La differenza tra i due termini non è qui particolarmente interessante, basti sapere che cambia solo il termine di prescrizione entro il quale agire per ottenere il risarcimento, di cinque anni nel caso dell’art. 2043 c.c. e di dieci anni nel caso dell’art. 2087 c.c.. Muta in verità anche l’onere della prova, perché nel caso della responsabilità di tipo “contrattuale” il danneggiato deve provare il nesso di causa tra il danno che gli è occorso e l’azione od omissione del presunto responsabile (o Ente), nel mentre sarà quest’ultimo a dover provare di avere adempiuto ai propri obb ...[continua]

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