Lo scorso 11 luglio, nell’ambito di “Luci sul lavoro”, rassegna organizzata da Eidos (Istituto Europeo di Documentazione e Studi Sociali)  e dal Comune di Montepulciano, a dieci anni dalla pubblicazione del volume Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, di Fabio Berton, Stefano Sacchi e Matteo Richiardi, si è tenuto un incontro dal titolo “Dieci anni di riforme del lavoro e del welfare. Ancora il paese della flex-insecurity?”, che ha visto la partecipazione di Elsa Fornero, Bruno Anastasia, Riccardo Salomone e Giorgio Santini. A seguire pubblichiamo l’intervento di Riccardo Salomone, docente di Diritto del lavoro presso l'Università di Trento e Presidente della Agenzia del Lavoro della Provincia autonoma di Trento.

Intervengo nel dibattito portando la visione del giurista, ma anche quella dell’operatore del mercato del lavoro in un territorio senz’altro fortunato come il Trentino. Comincio dal libro di Berton, Sacchi e Richiardi, Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, che ho avuto modo di rileggere nelle scorse settimane per poterne discutere oggi con voi. Penso che i pregi del libro siano intanto il suo sguardo trasversale e poi la capacità di proporre un’osservazione, una analisi dei dati. Un esempio raro in Italia: un libro scritto per tutti, in ottica interdisciplinare, costruito sui numeri e anche orientato a una proposta politica. Un testo quindi anche coraggioso nel tenere tutti questi elementi insieme. È un libro che consiglierei a tutti, a cominciare dai miei studenti di giurisprudenza, perché in qualche modo è anche un libro di diritto e per di più non annoia.
Sarebbe interessante farne un aggiornamento. Sono usciti questi studi degli economisti Krueger e Katz, che guardano alle serie storiche del lavoro cosiddetto “alternativo” negli Stati Uniti; loro analizzano gli anni che vanno dal 1990 al 2015 con particolare attenzione alla green economy e ai lavori atipici. Ecco, sarebbe utile proporre un’analisi dei trend del mercato del lavoro italiano, atipico e non.
All’epoca, la ricerca di Berton, Sacchi e Richiardi metteva in evidenza tre punti deboli del caso italiano; in Italia la flessibilità diventa insicurezza perché non c’è capacità di dare continuità alle carriere, perché il livello salariale retributivo è molto basso e infine perché non c’è sufficiente protezione sociale per il lavoro atipico.
Può allora essere interessante osservare questi tre elementi dal punto di vista trentino, dove invece è stata messa in campo una buona azione in termini di discontinuità delle carriere grazie a investimenti nelle politiche attive già a partire dagli anni Ottanta. Il Trentino vanta inoltre buone esperienze di protezione sociale, da ultimo l’esperienza di dieci anni di “reddito di garanzia”, una misura molto simile a quelle che poi sono state costruite su scala nazionale; parliamo quindi di un territorio che ha adottato misure di protezione sociale forte anche per i soggetti atipici. Continua invece a mancare una protezione salariale significativa, come dovrebbe essere quella dei lavoratori atipici, per non produrre insicurezza.
Devo dire che, da questo punto di vista, i dati più recenti sono molto preoccupanti. Sappiamo infatti che il salario medio in Italia è sceso in maniera significativa negli ultimi anni. Il salario medio del Nord est è più alto del salario medio italiano; quello trentino è allineato sul livello del Nord est. Ebbene, il salario medio della provincia di Bolzano sale di duemila, tremila fino a quattromila euro rispetto a queste regioni italiane più fortunate. Un dato impressionante dal punto di vista di chi è chiamato a costruire delle politiche; io opero a Trento e a fianco a noi abbiamo una provincia, certo più “tedesca” e quindi con maggiori legami con un sistema economico forte, dove i salari si alzano significativamente. Evidentemente nel nostro paese, anche in Trentino, dove pure le cose funzionano, sui livelli salariali non si è riusciti a fare abbastanza. E questo è un nodo fondamentale rispetto al tema della insecurity. Se poi guardiamo ai dati disaggregati, scopriamo che a pagare di più, in termini di gap salariale, sono i lavoratori stagionali, quindi il lavoro atipico per definizione, e il lavoro femminile. Rispetto all’analisi proposta da Berton, Sacchi e Richiardi i bassi salari restano quindi uno dei nodi ancora oggi scoperti.
Anche le riforme strutturali che hanno interessato il mercato del la ...[continua]

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