Ma che parliamo a fare? Per dire le stesse cose anno dopo anno. I geologi, innanzitutto, caso mai qualcuno se lo fosse scordato, ci ricordano che in una terra come la nostra (e come il resto d’Italia) la natura, se maltrattata, risponde nel modo in cui sta rispondendo, come avviene ogni anno di questi tempi stagionali.
Antonio Di Gennaro ne "Il territorio saccheggiato” (La Repubblica, 15 ottobre 2015), ha puntualmente descritto nei dettagli la situazione in Campania. Qualcuno più avanti negli anni ricorda le alluvioni di Benevento (1949), di Salerno (1954), di Firenze e Venezia (1966), di Sarno e Quindici (1998) e via elencando avvicinandoci ai giorni nostri e sempre tra ottobre e novembre.
Che vuol dire? Che è autunno; in questo periodo piove; quando la pioggia è più abbondante fiumi e torrenti si ingrossano e portano più acqua i torrenti nei fiumi e i fiumi nel mare. Questo secondo le regole della natura. Poi, però, vi sono le sregolate regole umane. Quelle che hanno irreggimentato il corso di torrenti e fiumi in alvei innaturali e li hanno indirizzati in mezzo a una selva di costruzioni che sottraggono suolo alla campagna dove qualche corso d’acqua più esuberante tenderebbe a espandersi se ne trovasse la possibilità. Quando questa naturale possibilità non la trova esonda per le strade, nelle cantine e travolge tutto quello che trova lungo la strada. È così che vanno le cose anno dopo anno. Chi non c’era alle date che ricordavo basta che vada in emeroteca e si sfogli la raccolta dei quotidiani anno per anno di questi tempi e ne ricostruisca la storia. La storia che, ci hanno insegnato sin dai primi livelli scolastici, è magistra vitae. Maestra? In realtà non insegna proprio niente: certamente a chi non sa o non vuole imparare. Per esempio, per sapere che dal 1989 con il varo della legge n. 183 così come era avvenuto per il rischio sismico all’indomani del terremoto del 1980, si è provveduto a individuare e perimetrare le aree a rischio idrogeologico e a individuare le misure di salvaguardia di persone e beni materiali e i programmi di interventi urgenti per la riduzione di questo rischio. L’analisi ha consentito di individuare e perimetrare 11.468 aree a rischio idrogeologico molto elevato che interessano il territorio di 2.875 comuni (oltre un quarto dei comuni italiani) in tutte le regioni. Ai primi tre posti sono la Valle d’Aosta con il 20% del territorio esposto a rischio, la Campania con il 16,5% e l’Emilia Romagna con il 14,5% del territorio. La Campania, molto più popolosa e densamente popolata della Val d’Aosta, è al secondo posto, ma non basta. Perché, come sappiamo e ci ha ricordato anche Di Gennaro, ci sono pure i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Con una non trascurabile differenza nella ricerca delle responsabilità. Ed è che di terremoti ed eruzioni sappiamo che "certus an incertus quando”, mentre per alluvioni e frane certus est se e quando. Voglio dire, tornando a parlare la lingua più ricorrente, che nel primo caso sappiamo con certezza che quei fenomeni si verificheranno, ma non abbiamo certezze sul quando. Nel secondo caso la certezza è sia sul verificarsi, sia sul quando, annualmente, ciò avviene. Che significa saperlo? Semplicemente che esistono il dovere e la possibilità di prevenire una volta per tutte, vittime e danni materiali l’indomani di ogni pioggia più intensa del solito. Una prevenzione che, come non mi stancherò mai di notare, comporta investimenti e gente che lavori per dare sicurezza e vivibilità a un territorio nel quale risiedono sei milioni di persone.
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