Pubblichiamo un secondo gruppo di interventi svoltisi nell’ambito del 10° Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione dei crimini e il trattamento dei colpevoli, tenutosi a Vienna il 14 aprile 2000, in un seminario dal titolo "Promuovere un dialogo: il caso della Bosnia Erzegovina", coordinato da Yael Danieli. In questo numero a parlare sono gli attori direttamente impegnati all’interno della Bosnia Erzegovina, in particolare Manfred Nowak, Austria, Camera per i Diritti Umani per la Bosnia Erzegovina (Bih), Irfanka Pasagic, psichiatra originaria di Srebrenica, oggi a Tuzla, Jaque Grinberg, Capo Affari Civili della Missione delle Nazioni Unite in Bosnia Erzegovina (Unmbih).

Manfred Nowak, Camera per i Diritti Umani, Bih
Il tema di questo incontro è decisamente molto appassionante e difficile: promuovere un dialogo in Bosnia Erzegovina. Premetto che a mio avviso la vera sfida resta la promozione di un dialogo tra i tre gruppi etnici e religiosi. Tuttavia dovremmo entrare anche nella questione del dialogo tra la comunità internazionale e i bosniaci per trattare infine del dialogo possibile nell’ambito della comunità internazionale.
Ma partiamo dal primo livello, la sfida più appassionante che dobbiamo affrontare, e che di fatto comporta la revoca degli effetti della pulizia etnica, del genocidio che sono avvenuti in Bosnia tra il 1992 e il 1995.
Ciò significa trasformare le zone etnicamente pulite in luoghi multietnici e multireligiosi, e la reintegrazione delle minoranze, con tutti i problemi a questo connessi, a partire dalla proprietà.
Sappiamo che questo processo di ritorno è appena agli inizi, e che la minoranza che è riuscita a tornare alle proprie case rappresenta allo stato attuale un’eccezione; va un po’ meglio nella Federazione, ma nella Republika Srpska la situazione è ancora molto critica.
Ora, promuovere questo dialogo è possibile solo se c’è una volontà forte tra le persone di parlarsi tra di loro. E questo, dopo il periodo dei massacri e delle violenze, è un obiettivo evidentemente molto arduo, soprattutto perché le vittime devono prima poter sperimentare un minimo di senso di giustizia, per poter avviare un processo di riconciliazione. In altre parole, c’è un’area in cui non è stato fatto abbastanza, ossia il rapporto con il passato.
Bisogna tornare indietro per realizzare quello che viene definito il diritto di conoscere la verità, per le vittime, come per i familiari.
Ripeto, sul piano dei sentimenti delle vittime, per la riconciliazione è irrinunciabile una qualche forma di giustizia.
Questo è il compito principale del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, che non ha ancora risolto tutti i problemi e che però col tempo mi sembra stia lavorando sempre meglio.
Dal 1997, dopo il cambio di governo in Gran Bretagna, la Sfor ha cominciato ad assumersi quel compito che da tempo le viene richiesto, ossia la responsabilità di arrestare i colpevoli incriminati dall’Aja.
Recentemente molte figure importanti, tra cui spicca Momcilo Kraijsnik, sono state arrestate. Dal modo in cui il Tribunale sta lavorando, con le indagini in corso, con i processi intrapresi, direi che si è avviato finalmente un impegno anche molto professionale, che non si esaurisce nel catturare i responsabili e nel consegnarli alla giustizia, ma che vuole anche concretizzare il diritto a conoscere la verità.
Oltre a questo, resta l’idea della costruzione di una Commissione per la Verità, che ha già operato in altri paesi, come il Sudafrica o il Guatemala, con ottimi risultati nel rapportarsi al passato.
La mia personale opinione è che oltre a un Tribunale criminale internazionale, resta importante l’esistenza di una commissione per la verità. Affinché ciò si realizzi la gente deve sentirsi incentivata a parlare, e questo, come abbiamo visto in Sudafrica, normalmente significa un’amnistia. Tuttavia, in questo caso ciò non potrebbe essere un fattore di riconciliazione perché destituirebbe il lavoro e il ruolo autorevole del tribunale internazionale.
Un’ulteriore area su cui lavorare nel rapportarsi al passato, nel soddisfare il diritto a conoscere la verità, riguarda le persone che ancora oggi risultano scomparse. Sfortunatamente su questo non si è ancora fatto abbastanza.
Se pensiamo alla promozione di un dialogo attraverso la creazione di istituzioni volte alla ricerca di ciò che è stato di queste persone scomparse, per la mia esperienza dal 1994 al 1997 come esperto per le Nazi ...[continua]

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