I
L'uomo, visto dal di fuori, è un organismo animale. La sua esistenza, la sua riproduzione, la sua morte, i suoi movimenti, le sue sensazioni, la sua fisiologia e patologia possono essere studiati come fenomeni biologici, con tutto ciò che questo implica d'interdipendenza con la natura, le influenze del clima, eccetera.
Il fatto che l'uomo sia un animale che vive in società non lo distingue in maniera essenziale da altre specie. E forse il linguaggio neppure. Ma è con la specificazione dell'homo sapiens (cosciente degli scopi del suo agire, e dunque capace di porsi il problema della propria condizione) e dell'homo faber (il quale estende per mezzo di strumenti le sue facoltà d'azione sulle cose che lo circondano) che si pone l'insieme delle questioni di cui si occupano sia la filosofia che la ricerca storica.

II
L'uomo si conosce: oppone il proprio io a tutto ciò che esiste attorno a lui, non solo nell'azione per sopravvivere, ma come "visione" (theoria) costante.
È per tale via che si viene progressivamente articolando la sua esperienza, si organizza la sua memoria, si costruisce una complicata gradazione d'irrealtà — previsioni, ricordi, immaginazioni — che s'intrecciano ai "dati" direttamente e materialmente subiti del mondo qual è (per i nostri sensi).

III
È attraverso questo seguito d'intenzioni coscienti, di scelte fra possibilità preconcepite, d'invenzioni piuttosto rare e d'imitazioni spesso ragionate, di sforzi più o meno coerenti per stabilire delle distinzioni e delle "partecipazioni" fra cose diverse e fra momenti distinti della durata temporale, che l'uomo diventa il creatore, o il "produttore", della propria esistenza. La fatica quotidiana, il conforto del riposo, i giochi, i piaceri, le sofferenze, i progetti laboriosi, le fantasticherie, le sorprese, i terrori, gli stupori, i languori e le nostalgie, tutto ciò si compone in un'unità di significati che aderiscono per quanto è possibile a forme fisse il cui richiamo alla mente può dirsi " simbolo", e cioè segno di riconoscimento, ovvero ritorno del "medesimo" nel flusso di mutamenti senza posa.

IV
Ma l'esistenza dell'essere umano non si realizza che nell'ambiente sociale. Non c'è, nella coscienza e in tutti gli atti della coscienza, momento — anche quando l'individuo è materialmente isolato — il quale non sia un'azione reciproca con i suoi simili. Nelle più piccole reazioni agli eventi del mondo esterno, come in ogni immagine evocata dalla mente e nei suoi progetti più singolari, il "tu", il "noi" o il "loro" sono una presenza altrettanto reale quanto l'"io". Allo stesso modo che tutto il corredo materiale dell'esistenza — alloggio, nutrimento, mezzi di protezione e di lotta — proviene dall'insegnamento e dalla cooperazione degli altri, così anche quello che si potrebbe chiamare il corredo della coscienza — e cioè non soltanto l'espressione per parole o gesti, ma la maniera stessa di sentire o di vedere — è con tutta evidenza frutto dell'educazione e della collaborazione incessante del gruppo sociale.

V
L'astratta chiarezza del "penso, dunque sono" non si acquista che a un certo livello di meditazione disinteressata, sufficientemente distaccata dalle contingenze per poter operare la connessione fra la nozione d'"essere" e quella di "esistere". La maniera ordinaria di concepire l'equazione "io sono = io esisto" — ossia la coscienza dell'io nella realtà sociale — è una combinazione spesso confusa dei risultati (sempre soggetti a revisione) di esperienze che si continuano e si modificano per tutto il corso di un'esistenza e comprende:
a) ciò che mi sembra di essere;
b) ciò che spero di essere; c) ciò che temo di essere;

d) ciò che mi piacerebbe di essere;
e) ciò che so o credo di essere agli occhi degli altri;
f) ciò che voglio apparire agli occhi degli altri, eccetera.
Questa creazione perpetua della persona, intrecciata a tante illusioni, a tanti inganni innocenti o perversi, ma anche a tanti apporti reali e nuovi di "scoperte in profondità," di conversioni imprevedibili, di enigmi e contraddizioni senza uscita, deve la sua complessità unicamente al fatto di effettuarsi al tempo stesso sul teatro della vita sociale e nel segreto incomunicabile del foro interiore: i fatti compiuti che impegnano senza remissione non sono spesso che un'assurda violenza esercitata dal caso contro le vere intenzioni dell'individuo. Il problema che per tal modo si pone di una "conoscenza" dell'uomo non comporta che una risposta ...[continua]

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