L’aneddoto sembra significativo. Illustra la posizione che Chiaromonte occupa in certo immaginario storico-politico-culturale italiano. Prevale cioè la posizione pubblica del Chiaromonte degli anni ’50, direttore di "Tempo presente”, convinto sostenitore dell’Occidente, acerrimo nemico del comunismo, indagatore indefesso dei vizi intellettuali e culturali del radicalismo all’italiana e più in generale dell’ethos rivoluzionarieggiante ed escatologico della sinistra tout court.
Una posizione certo laica, ma che risulta facilmente accomunabile a quella dei conservatori che si oppongono a ogni seria ipotesi di mutamento sociale. Il fatto è che le grandi battaglie di Chiaromonte, immediatamente prima, durante e dopo "Tempo presente”, lo situano di fatto a fianco dell’intellighenzia liberale d’Occidente, anche se molto spesso, a guardare in forma ravvicinata gli argomenti usati dal nostro, se ne colgono con facilità i distinguo e le sfumature che lo differenziano da un Raymond Aron o da un Karl Popper.
E’ un’immagine in sostanza avvalorata anche da buona parte degli scritti pubblicati postumi, che prediligono il Chiaromonte impegnato nella polemica a tutto campo contro l’ideologia del progresso e del millenarismo rivoluzionario. E’ questa prevalenza a giustificare, almeno in parte, lo scetticismo rispetto a una sua collocazione in ambito libertario. D’altro canto, il confronto con la letteratura riguardante Chiaromonte in lingua inglese risulta quanto meno sorprendente. Già nel 1949 Mary McCarthy lo incapsula in un’altra categoria rispetto alla vulgata italiana: il suo Monteverdi (che impersona Chiaromonte nel romanzo L’oasi) "era un anarchico”. E la definizione gli resta attaccata, in alcuni casi con una chiarezza e una determinazione che può suonare sin troppo marcata: "the italian anarchist Nicola Chiaromonte”, scrive con sicumera High Wilford nel suo The New York Intellectuals. Ora, gli americani si sono occupati di Chiaromonte essenzialmente in relazione alla sua partecipazione all’esperimento di "Politics”, la rivista fondata da Dwight Macdonald nel 1944, che per un lustro ha raccolto intorno a sé una varia intellighenzia americana ed europea, antimarxista, ben conscia del senso del termine totalitarismo (è in questo ambiente che Hannah Arendt ha concepito e scritto Le origini del totalitarismo), pronta a elaborare una via verso la società libera fondata sulla tradizione libertaria. Gli autori di "Politics” incoraggiano a ripensare la "sinistra” sulla base della riscoperta di Proudhon, Tolstoj, Herzen, corretti magari da Tocqueville: dal coacervo di proposte e analisi comparse sulla rivista -opera dello stesso Macdonald, di Paul Goodman, di Andrea Caffi, di Albert Camus e ovviamente di Chiaromonte- emerge una particolare variante della tradizione libertaria, che potremmo definire gradualista, separatista e "antipolitica”. Una prospettiva in sostanza non molto lontana da quella elaborata dagli stessi Caffi e Chiaromonte un decennio prima, all’epoca della loro militanza in Giustizia e Libertà.
E’ opportuno a questo punto comprendere come il termine "anarchismo” indichi una galassia di credenze, opinioni, idee ed argomentazioni che troppo spesso vengono riassunte e ridotte sotto l’etichetta di un rivoluzionarismo comunistico, millenaristico e costruttivistico. Il percorso dell’anarchismo e più in generale dell’ethos libertario è molto più variegato di quanto non si pensi e si svolge lungo un arco intellettual-politico sospeso tra due poli generali di attrazione: da una parte quello che condivide l’immaginario rivoluzionario e gnostico-millenaristico della tradizione radicale di sinistra, grosso modo quella giacobina nata con la Ri ...[continua]
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