Io non mi sento capace di confutare simili asserzioni (di negare, cioè, l'importanza per l'uomo di sollevarsi oltre il livello animale e di ambire alla visione più alta possibile dell'esistenza). Tuttavia, quando cerco di capirle, queste asserzioni, non posso a meno di provare un profondo disagio: mi sembra di scorgervi una mancanza di umanità e di semplicità nella gioia di vivere e nell'amore del prossimo. Se non devo attribuirla a una qualche mia intrinseca indegnità, ci deve pur essere qualche ragione in questa mia diffidenza verso i "valori spirituali" e quel che ne consegue, ossia — inevitabilmente — un egotismo quasi altrettanto spiacevole quanto la "volontà di potenza". Del resto, il mistico, come anche l'intellettuale soddisfatto della propria intellettualità, cade spesso in questa passione che crede di aver superato o annientato.
Da giovane, non credo di aver mancato di fervore per le "cime metafisiche" o le forme sublimi della musica, della pittura, della poesia e del romanzo. Epperò, devo confessare che era con un sentimento di liberazione, e quasi direi di purificazione, che mi accadeva di lasciare un qualche cenacolo di intelletti folgoranti o raffinati dove si erano scrutate le profondità del simbolismo o della durata bergsoniana per andare a raggiungere dei compagni piuttosto rozzi, preparare con loro una qualche ingenua "manifestazione", redigere un appello agli scioperanti imbastito di luoghi comuni marxisti, oppure raccogliere un po' di danaro per dei refrattari in miseria. Dirò di più: ho sempre pensato che se — per assurdo — questa solidarietà avesse comportato che io rinnegassi tutti i capolavori dell'arte, della filosofia, della cultura, non avrei esitato un momento.
Naturalmente, non c'è nessuna incompatibilità fra le "vere" conquiste dello spirito e l'emancipazione (ossia la felicità) di tutti gli esseri umani. Ma in certe circostanze (forse più russe che proletarie) è sembrato che il dilemma esistesse. La mia scelta sarebbe stata, anzi oso dire: è stata, per la negazione rivoluzionaria contro le pompe e le opere della più sublime cultura.
C'è qui implicita un'antinomia non dissimile da quella insita nel grande principio mistico del
"perdere la propria anima per ritrovarla". E io non trovo assurdo contrapporre al mistico, come suo eguale nello sforzo di conquistare una piena misura di umanità, il rivoluzionario autentico. Aggiungerò che rivoluzionari autentici, per me, non sono soltanto un Proudhon e un Bakunin, ma anche un Voltaire, un Herzen, un Tolstoi. Per rivoluzionario, intendo un uomo il quale abbia: 1) la passione irresistibile di risvegliare e mettere in agitazione gli uomini che avvicina; 2) una simpatia attiva, fremente, per tutti quelli che soffrono, son vittime d'ingiustizia, han bisogno di un aiuto che non sia soltanto di parole. I fanatici dell'"idea" rivoluzionaria — ossia dello schema astratto — quali Blanqui o Lenin stanno al vero rivoluzionario come la disciplina dei gesuiti sta alla mistica di un Dionigi l'Areopagita.
Evoco questi nomi illustri al solo scopo di esprimere in scorcio le mie idee in proposito. La maggior schiettezza umana dell'atteggiamento rivoluzionario paragonato a quello mistico mi sembra rivelarsi nel fatto che quest'ultimo implica di necessità una gerarchia e non accorda la qualifica di vero iniziato che all'individuo il quale abbia percorso i più alti gradi della visione o della comunione con Dio. Mentre, nel suo fondamentale egualitarismo, il rivoluzionario sosterrà che il "sale della terra" si trova piuttosto nelle viscere della terra stessa, mescolato alla terra, che non sulle cime splendenti dove solo a pochi è dato assurger ...[continua]
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