Roma, 18 gennaio.
Lo scrittore Nicola Chiaromonte è morto, colpito da infarto mentre si trovava nella sede della RAI di viale Mazzini, dove collaborava alla realizzazione di alcuni programmi radiofonici. Si è sentito male mentre era in ascensore: è stato portato in un ambulatorio e visitato da un medico, il quale però non ha potuto far niente per lui. Nicola Chiaromonte, che era nato a Rapolla (Potenza) nel 1905, viveva da alcuni anni con la moglie a Roma, in via Ofanto 18. I funerali si terranno giovedì.

La morte improvvisa di Nicola Chiaromonte colpisce dolorosamente tutti coloro che lo conoscevano e lo amavano per le sue eccezionali qualità di uomo, di scrittore, di combattente per la libertà. In questi ultimi anni, pur continuando la collaborazione di critico teatrale all'Espresso, rubrica che aveva tenuto nel Mondo di Pannunzio, succedendo a Corrado Alvaro (una critica, quella di Chiaromonte, che si serviva dell'osservatorio del teatro per portare la testimonianza del suo giudizio morale sulla realtà contemporanea) egli s'era come rinchiuso in se stesso, era divenuto ancora più schivo e solitario di quanto il suo carattere lo portasse a essere. Ma ciò non per un distacco dalla società, o per un inaridirsi di passione civile, bensì per un eccesso di essa.
Chiaromonte era, infatti, uno di quei pochi uomini di cultura che hanno una concezione elevatissima, quasi stoica della funzione dell'intellettuale. L'impegno era, per lui, come ha scritto in uno dei saggi che dà il titolo al suo libro Credere e non credere, fedeltà assoluta alla ragione contro ogni conformismo imposto da qualsiasi autorità. E nella sua ferma ripulsa del comunismo c'era come componente principale proprio questa rivolta dell'intellettuale vero contro la prepotenza del dogma che vuole incatenare la libertà di giudizio. A questa concezione della dignità e della funzione superiore dell'intellettuale si ispirò nel periodo in cui diresse, insieme con Ignazio Silone, la rivista Tempo presente.
Nei primi anni del dopoguerra, ancora incerto se tornare a stabilirsi in Italia che aveva lasciato giovanissimo per aver maturato autonomamente il rifiuto del fascismo, Chiaromonte pensava a quella rivista come a un mezzo per ridare alla cultura questo compito di guida dello spirito e per sprovincializzare il mondo letterario italiano, tenerlo aperto alle correnti del pensiero internazionale, più spregiudicate e più serie.
Alla rivista collaboravano famosi scrittori stranieri e italiani e Chiaromonte vi scriveva spesso delle note di carattere politico-culturale, che recavano sempre il segno della sua intransigenza e del suo acume, oltre a saggi di critica storica e letteraria. Fra i collaboratori c'erano anche alcuni fra i più noti esponenti della sinistra radicale americana che egli aveva conosciuto e frequentato durante il periodo del suo esilio negli Stati Uniti. Della sua giovinezza e maturità trascorse volontariamente fuori d'Italia non s'era mai fatto vanto, quasi mai parlava. Eppure, come accennavamo, era stato uno dei pochissimi giovani che aveva scelto la via dell'espatrio senza esservi costretto, e non per ragioni solo politiche ma soprattutto per una profonda convinzione filosofica e morale.
Figlio di un medico di un paese della Lucania, Rapolla, in provincia di Potenza, dove era nato nel 1905, aveva studiato a Roma, appassionandosi soprattutto ai classici greci e latini e alla filosofia antica. Nel 1930, dopo un viaggio di studio in Francia, aveva deciso di non tornare più in Italia dichiarando pubblicamente di essere antifascista. A Parigi aveva stretto un sodalizio soprattutto intellettuale con un personaggio di straordinaria cultura e raffinatezza, il pensatore e filosofo, di padre italiano e di madre russa, Andrea Caffi, di cui Chiaromonte aveva recentemente curato la pubblicazione delle opere principali. L'incontro con Caffi fu decisivo per la formazione di Chiaromonte che ne assorbì la visione universale dei problemi. Collaboratore dei Quaderni di giustizia e libertà di Rosselli, quando scoppiò la guerra civile spagnola, si arruolò fra i volontari repubblicani e combattè nella squadriglia aerea di Andre Malraux, che ha raccontato il suo incontro con il giovane antifascista italiano nel suo libro l'Espoir, in cui descrive l'impari confronto fra i pochi aerei mezzo scassati della squadriglia e quelli allora modernissimi, italiani e tedeschi.
Rifugiatosi di nuovo in Francia, dopo l'invasione tedesca scappò da Parigi sca ...[continua]

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