E' un detto di Fouché: «Datemi un pezzo di carta con la firma d'un uomo, ed io lo farò giustiziare». Questo può essere un principio basilare della procedura cui s'informa la Polizia di Stato, ma nelle istanze intellettuali non è davvero un buon criterio.
Con delle citazioni artificialmente strappate dal loro nesso, il sig. Schapiro (*) si propone di dimostrare che Proudhon era: 1) «un precursore delle idee fasciste... che si fece il propagatore del concetto fascista di un superamento rivoluzionario della democrazia e del socialismo... il portavoce spirituale dei ceti medi francesi»; 2) un sostenitore della dittatura in generale e di Luigi Napoleone in particolare; 3) un antisemita; 4) un nemico dei negri americani; 5) un guerrafondaio; 6) un nemico dell'uomo comune; 7) un antifemminista.
Il primo di questi capi d'accusa viene provato dal sig. Schapiro nel modo seguente: Proudhon era un piccolo borghese ed un precursore del fascismo perché non credeva nella nozione marxista della «lotta di classe», né in quella di una rivoluzione violenta coronata dalla vittoria del proletariato; per contro egli pensava che, nei tempi moderni, una rivoluzione violenta non poteva significare altro che la dittatura e condurre al trionfo dei ceti medi. Tuttavia, aggiunge Schapiro, Marx ed i socialisti avevano torto, in quanto essi non compresero esattamente il carattere ed il ruolo storico delle classi medie, mentre l'intuizione «disarmonica» di Proudhon è stata avallata dagli eventi contemporanei.
Da tutto ciò risulta in modo evidente che il sig. Schapiro, pur non credendo nella fondatezza delle nozioni marxiste, se ne serve tuttavia per caratterizzare Proudhon e per dimostrare che questi in fin dei conti non aveva del tutto torto, ma era un cattivo soggetto. In questo sta tutta la stranezza del suo modo di ragionare. Perché da un punto di vista marxista si può giustamente affermare che Proudhon è stato un piccolo borghese, un traditore, un fascista, dato che non credette nella lotta di classe, nella dittatura del proletariato, e cosi via. Ma se l'autore è del parere che le concezioni marxiste sono ad ogni modo sbagliate (e soprattutto nei riguardi dei problemi fondamentali come il ruolo storico delle varie classi), allora si ha il diritto di pretendere da lui che giudichi Proudhon partendo da qualche altra base chiaramente definita, e tenendo conto di ciò che è realmente il pensiero di Proudhon.

La disinvoltura del Sig. Schapiro

Io ritengo che le idee di Proudhon (se siano giuste o sbagliate è un'altra questione) si trovano enunciate nella sua opera con perfetta chiarezza per chiunque voglia fare un piccolo sforzo per comprenderle. Se dovessi riassumerle in poche parole, io direi che la preoccupazione principale di Proudhon è stata quella di scoprire nella vita della società umana una verità che non fosse una verità «classista», affinchè il trionfo della giustizia sociale fosse un trionfo della ragione e non della violenza, una creazione della società stessa e non una imposizione dall'alto, qualunque fosse il nome di questo ente superiore -Iddio, coercizione statale o dittatura di classe. Questa verità egli chiamò Giustizia, intesa sia come «idea», sia come realtà concreta, inerente -in un senso positivo e negativo- ad ogni ordinamento sociale. Di questa idea che ispira tutta la sua opera, Proudhon fece un'esposizione poco sistematica, ma tanto più suggestiva, nelle duemila pagine del suo libro «De la Justice dans la Révolution et dans l'Eglise». Queste duemila pagine sono completamente trascurate dal signor Schapiro il quale, d'altra parte, fa un uso abbondante di estratti dalla corrispondenza di Proudhon, presentandoli come se si trattasse di formule teoriche anziché di opinioni personali occasionali e strettamente private.
Dallo studio di Schapiro si può inoltre apprendere che Proudhon è stato un anarchico, ma nulla è detto sulla sostanza e sul significato profondo della lotta instancabile che Proudhon condusse contro ciò che egli definì il «principio di governo». In tal modo riesce facile al sig. Schapiro di impiccare Proudhon in effigie come sostenitore della dittatura, in considerazione del suo atteggiamento nei confronti di Luigi Napoleone. Che una simile accusa abbia potuto essere pronunciata è talmente assurdo che non varrebbe la pena di confutarla, se non avessimo oggigiorno tanti esempi che ci dimostrano come il pregiudizio intellettuale e la tendenza a spacciare delle formule al posto di pensieri ...[continua]

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