Chiuso questo inciso, io mi asterrò dall’entrare in maniera diretta nelle questioni fondamentali fin qui toccate, e cercherò piuttosto di avere un approccio più "tangenziale”. Non sembri presuntuoso, ma a volte proprio questo tipo di approccio aiuta a capire meglio le cose, in qualche caso aiuta persino a fare delle scoperte: si parte cercando A, e poi si trova invece B. La qual cosa si collega da un lato alla natura spesso casuale, imprevedibile, "impura” della ricerca, dall’altro a una concezione non eccessivamente finalizzata della cultura e della ricerca stessa. Oggi invece, mi pare, ci si sta avviando, a tutti i livelli -dalla scuola elementare fino alle ricerche più avanzate-, a un tipo di organizzazione dello studio e dei processi formativi e della ricerca che è assolutamente finalizzato in maniera immediata. Questa finalizzazione si collega al fatto che chiunque, e da qualunque punto di vista, analizzi la società contemporanea nota immediatamente l’accelerazione continua e crescente cui la società stessa è sottoposta: si finisce così per ritenere che il miglior risultato di un processo formativo sia l’adeguamento a questa accelerazione (l’ "aggiornamento”), e per abbandonare del tutto, invece, quell’idea di una cultura di fondo solida, ma capace di flessibilità e di elasticità, che una quindicina di anni fa si stava affermando, per esempio, nelle discussioni sulla scuola.
Dico subito che avrei qualche riserva sul titolo del convegno. Per me, infatti, il titolo avrebbe dovuto essere, più modestamente, "La sinistra italiana e le due libertà”, perché la sinistra in quanto tale non è solo la sinistra italiana. La mia non è tanto una pignoleria legata al fatto che quasi tutte le relazioni hanno riguardato la storia recente del nostro paese, quanto il fatto che questa generalizzazione ha delle conseguenze che spero di riuscire a rendere evidenti.
A me pare che il tema centrale di questo convegno sia il tentativo di ricostruire una storia "diversa”, l’andare alla ricerca dei propri antenati, nella consapevolezza che anche la storia del socialismo e del movimento operaio è stata scritta dal punto di vista dei vincitori. Questo fatto, che la storia è storia dei vincitori, ha comportato, per esempio, che i manuali di storia che si usavano quando io ero ragazzo erano tutti costruiti solo sulle attività di re e imperatori, papi e cardinali, generali e primi ministri. Anche quando questa impostazione venne cambiata, per molto tempo questo significò solo che furono ammessi nel manuale gli antenati della sinistra "vincente”: Turati e Treves, poi Menotti Serrati, Bordiga, Gramsci, Togliatti, eccetera. (Naturalmente, anche la storia dei manuali è molto più complicata: a metà degli anni Cinquanta, per esempio, già Giorgio Spini riservava uno spazio adeguato agli eretici, e poco dopo Armando Saitta ai giacobini e ai democratici del Risorgimento). Rispetto a questo, l’impostazione data al convegno, e le relazioni che abbiamo sentito, sono andate alla ricerca di filoni meno esplorati, di piccoli movimenti, di individui e gruppi che sanno di eresia e di sperimentazione minoritaria: si va -con molte variazioni- da un certo tipo di anarchia a Giustizia e Libertà, a settori molto particolari del socialismo italiano. Tuttavia, io penso che questo rimanere in un ambito italiano sia un po’ limitante, perché, per esempio, ci fa perdere contributi che continuo a ritenere decisivi per una storia alternativa della sinistra, italiana e non. Mi riferisco a personaggi come Arthur Koestler, cioè a personaggi che hanno permesso, non soltanto nello studio e nella teoria, ma attraverso un percorso biografico vissuto intensamente e pagato duramente, di cogliere problemi, errori e orrori della storia del cosiddetto socialismo realizzato nel ‘900. Sono personaggi che hanno molte cose da dirci e anche di questi, quindi, occorrerebbe discutere, ...[continua]
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