«Nei partiti politici... in certe zone terremotate dell’istruzione superiore, in alcuni strati inquieti della vita intellettuale... si vanno diffondendo un atteggiamento di insofferenza e un gusto smanioso per la polemica intransigente. Un moralismo, spesso ostentato e di maniera, sembra giustificare le alternative più dogmatiche... gli aut-aut più fanatici...» (Remo Cantoni ne "La Stampa”).
Come Remo Cantoni, noi siamo tuttora propensi a interpretare l’irrazionalità dilagante -non certo soltanto fra i giovani- come una specie d’infrazione persistente, e tuttavia transitoria, alla salda norma della ragione, considerando il «gusto smanioso» per l’intransigenza, per il moralismo di maniera e per gli «aut-aut più fanatici», forme di un malessere particolare dei nostri giorni, ma sicuramente passeggero e in sostanza superficiale: eccezioni. In un certo senso, è giusto: la ragione, il senso comune, l’equilibrio morale rimangono non valori ma fatti, senza di cui l’esistenza umana non è concepibile, e non sarebbe sopportabile. In un altro senso, tuttavia, è chiaro che tali eccezioni durano ormai da troppo, si sono troppo diffuse e radicate nei modi d’essere più comuni della gente, sono andate troppo evidentemente crescendo e non diminuendo nel corso degli ultimi decenni, per poter essere considerate semplicemente come dei fenomeni passeggeri. Né gli studenti, né gli hippies, né la predicazione pseudo-marxista del professor Marcuse sono stati i primi a sconvolgere lo stato della ragione e della ragionevolezza nella società. Il bolscevismo, il fascismo, il nazismo, con le due guerre mondiali che ne furono rispettivamente la premessa e la conseguenza, sono stati, per quanto riguarda la società, fenomeni di un’irrazionalità furiosa. Essi hanno, è vero, potuto provocare nei pochi una certa rivolta della ragione contro la demenza e la violenza; ma nei molti hanno piuttosto incoraggiato la convinzione che il mondo va a caso ed è retto dall’arbitrio.
La relativa restaurazione di un ordine civile e di un tanto di libertà che ha seguito l’ultima guerra è evidentemente precaria: riguarda lo stato di fatto, non i princìpi, non i fondamenti, non le certezze morali. È, appunto, una restaurazione, vale a dire il tentativo di applicare, come rimedio a una società sconvolta, le regole che vi regnavano prima dello sconvolgimento, e che sono state sconvolte insieme con il resto.
Ma non insistiamo sulla politica. Nelle smanie irrazionali e negli aut-aut fanatici di oggi, la politica ha una parte meno dominante di quel che può sembrare a prima vista. Si parla il linguaggio della politica perché, oggi come oggi, esso suona come il linguaggio del solo assoluto che noi possiamo concepire: quello delle azioni, della ragion pratica e del potere. Ma ciò che s’intende è l’assoluto, non la politica. Giacché la politica, dopotutto, è un terreno di calcoli razionali dove gl’interessi, le passioni, le credenze si urtano in forma di ragioni, e persino la violenza ha da giustificarsi come mezzo razionale per ottenere un fine buono.
Quel che invece distingue gli estremismi politici odierni, e in particolare il sovversivismo giovanile, è l’intenzione proclamata di sconfinare da ogni limite propriamente politico per raggiungere dei fini ultimi e globali. Sicché il loro rapporto con l’azione politica, anche la più rivoluzionaria, somiglia a quello che poteva correre fra le credenze di certe sette eretiche medievali e il cristianesimo: molto di là o molto di qua, secondo il punto di vista. Certi atteggiamenti giovanili ricordano, per esempio, nell’ispirazione che evidentemente li muove, gli articoli di fede dei Fratelli del libero spirito, la strana setta che tenne in fermento l’Europa centrale fino alle Fiandre dal principio del XIII secolo fino al XVI inoltrato: «Chi riconosce che è Dio a far tutto in lui -essi dicevano fra l’altro- non potrà peccare, giacché deve attribuire tutto ciò che fa a Dio e non a se stesso». E aggiungevano: «Un uomo che ha una coscienza è a se stesso diavolo, Inferno e Purgatorio: non cessa di tormentarsi. Colui che è libero di spirito sfugge a tutto ciò. Non c’è nulla che sia peccato, tranne quello che si giudica tale... io appartengo alla natura e soddisfo tutti i desideri nella mia natura...» e così via29.
Quel che colpisce e appare informe, in simili asserzioni, non è la falsità, ma l’eccesso. Lo stesso si può dire delle «smanie irrazionali» oggi diffuse. Che ne scaturisca una rivoluzione non è probabile; ...[continua]

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